Sapere, Bene Comune

Introduzione al numero speciale di Aprile, la rivista

Sapere, Bene Comune
Arturo Di Corinto
Qualsiasi struttura, oggetto di una forte accellerazione, tende a cedere. Questo vale anche per la società nel suo insieme. La digitalizzazione delle reti e dei contenuti, l’ubiquità dei computer e la moltiplicazione delle infrastrutture di telecomunicazione stanno modificando così velocemente il nostro modo di lavorare, apprendere, comunicare, che tutto il nostro mondo ne sembra sconvolto.

E tuttavia sono segnali che ci avvertono di essere entrati nell’età matura della Società dell’informazione. Si tratta però di una maturità presunta, come di qualcosa che invecchia senza passare per la fase della saggezza.
Salutata da molti come l’era dell’abbondanza, la Società dell’informazione si mostra oggi con tutti i suoi difetti e le sue lacune, mentre pone problemi dei quali non si intravedono soluzioni.
Il cambiamento dell’organizzazione e della divisione del lavoro che essa porta in dote non è scevro di contraddizioni e ingiustizie, come spiegano bene Patrizio Di Nicola e Andrea Fumagalli a proposito del mantra della flessibilità e il controllo dei flussi immateriali che dividono il mondo in inforicchi e infopoveri. Eppure la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione fa balenare nuove possibilità, come la promessa di quell’economia locale, sostenibile e competitiva, che ci racconta Angelo Raffaele Meo a proposito dello sviluppo del software; oppure della possibilità offerta dai media digitali di partecipare tutti insieme a quel processo decentrato e cumulativo che è la produzione di conoscenza, il “bene comune” della società dell’informazione.
Possibilità che però tardano ad essere colte e palesano la necessità di individuare politiche in grado di mobilitare intelligenze e risorse per fare fronte alle sfide che l’innovazione pone.
Centrale in questo discorso rimangono la valorizzazione e l’incremento della conoscenza socialmente prodotta, come dice Mario Morcellini, a partire dai luoghi elettivi della produzione del sapere, la Scuola e l’Università. Luoghi centrali per la crescita sociale e culturale del paese, la cui trasformazione, a seguito delle successive e contrastate riforme, però non ci legittima all’ottimismo. Vincenzo Vita dice che non tutto è chiaro quando si abita il vortice della trasformazione e che forte è l’esigenza di una nuova classe intellettuale e politica in grado di sostenere e incentivare il cambiamento, che però, come ci ricorda Anna Carola Freschi, può solo nascere dalla partecipazione dei cittadini all’impresa collettiva della democrazia, magari usando i mezzi della rivoluzione informatica.
Di tutto questo parliamo nel secondo speciale di Aprile dedicato alla Società dell’informazione, privilegiando la polifonia delle voci anziché l’assunzione di un singolo punto di vista.
Il dialogo, si sa, è il miglior antidoto alle guerre, soprattutto a quelle ideologiche.