Intervista. Panzeri (Ds): ”La competitività non si ottiene a discapito dei diritti di chi lavora”
Arturo Di Corinto
www.aprileonline.info del 18/02/2005
Nel gennaio 2004 il commissario europeo alla concorrenza, Frits Bolkestein, ha presentato per conto della Commissione una proposta di direttiva sui servizi per il mercato interno ”per eliminare gli ostacoli alla libertà di insediamento dei fornitori di servizi e alla libera circolazione dei servizi in seno agli stati membri”. La proposta tuttavia è stata stigmatizzata da molte parti come risultato di una concezione neoliberista, fondata sulla logica delle privatizzazioni e dell’egemonia del mercato e quindi pericolosa per i diritti del lavoro e dei cittadini. Ne parliamo con Antonio Panzeri, già dirigente della Cgil lombarda e oggi deputato ds al Parlamento Europeo.
Onorevole Panzeri, la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi, nota come direttiva Bolkestein, scontenta un po’ tutti a sinistra del Parlamento Europeo. Perché?
Ci troviamo di fronte ad una direttiva vasta e complessa, che tocca un settore molto importante dal punto di vista occupazionale, importante anche perchè i servizi sono oggi essenziali per la performance dell’economia europea, così come per il benessere dei cittadini. Ma proprio questa considerazione mi porta ad affermare che lo sviluppo del mercato interno deve essere accompagnato da un adeguato rafforzamento della protezione sociale, dei diritti dei lavoratori e delle condizioni di lavoro, in equilibrio con i diritti dei consumatori al fine di mantenere la coesione sociale dell’Unione europea.
Un’affermazione, la mia, che parte dalla consapevolezza che occorre riconoscere l’importanza potenziale di crescita, in termini di occupazione ed economici di questi settori, in particolare nei nuovi Stati membri e che potrebbe contribuire alla Strategia di Lisbona., ma anche tiene conto della crescente politica di esternalizzazioni di servizi da parte di alcune aziende, soprattutto quelle manifatturiere, e delle conseguenze negative sulla contrattazione collettiva e sull’intensificazione del lavoro. Quindi, mentre in termini generali, non si può non essere favorevoli a misure che puntano a migliorare il funzionamento del mercato interno, alla libera circolazione dei servizi e che sono nell’interesse dei lavoratori, delle aziende e dei consumatori, non possiamo non essere preoccupati circa una serie di interventi, ipotizzati dalla direttiva, che in realtà vanno in tutt’altra direzione e pongono le basi per un processo di vera e propria destrutturazione di questo mercato. Risiede qui il senso della nostra posizione critica.
Come invece si può ampliare il mercato interno Ue e promuovere la competitività nel rispetto dei diritti del lavoro e della tutela dei servizi essenziali e dei beni comuni?
La direttiva riguarda un settore che rappresenta il 50% dei servizi di interesse economico ed il 70% del prodotto nazionale lordo europeo. La società dell’informazione ha messo in moto una nuova dinamica dei servizi, riducendo i costi della trasmissione e dell’acquisizione delle informazioni ed accelerando la velocità di diffusione dell’innovazione oltre le frontiere nazionali.
Si sono notevolmente ampliate nel mercato interno le potenzialità di domanda e offerta transfrontaliere dei servizi. Creare migliori condizioni per la libera circolazione dei servizi equivale a dare impulso alla dinamica insita nel mercato interno e quindi rafforzare la competitività, la crescita e la creazione dell’occupazione nell’economia europea. Ciò può essere fatto non perdendo di vista, ma accompagnando insieme ampliamento del mercato interno e diffusione dei diritti e delle tutele. In ciò può darci una mano lo stesso processo costituzionale in corso e la Carta dei Diritti inclusa nel Trattato.
Nel trattato che nel 1996 ha istituito l’Organizzazione Mondiale del Commercio, le idee e la conoscenza sono diventati commercializzabili. Ora però c’è una forte opposizione a questo approccio per la consapevolezza che abbiamo a disposizione una tecnologia, il digitale, che si scontra con il diritto storico della proprietà intellettuale. Quale è la sua posizione al riguardo?
Il tema è delicato. Perché, se da un lato la conoscenza più è diffusa e più determina opportunità per tutti ed è un grande antidoto a pericolose concentrazioni in mano a pochi, con riflessi sia in campo economico che sui livelli di qualità della democrazia, nel contempo mi rendo conto che chi produce un’idea che ha una propria consistenza tende a difenderla sul mercato, a brevettarla, per evitare appropriazioni di altri e tutelarne i ricavi auspicati. É qui che entrano in conflitto i fautori della liberalizzazione ed i contrari ad essa.
Penso che occorra evitare di favorire la grande impresa a scapito delle piccole e medie. Sottolineando che il rischio di iper-protezione del diritto di proprietà intellettuale in epoca di digitale, può essere quello di produrre effetti controproducenti in termini di impulso all’innovazione diffusa. Serve dunque una politica che coniughi libertà di commercializzazione e difesa del diritto di proprietà intellettuale magari ,ad esempio, agendo sui tempi di brevettabilità.
Non crede che dovrebbe essere il paradigma della cooperazione, piuttosto che della competizione a guidare le politiche europee?
Il processo di integrazione economico-sociale dell’Europa è lento e faticoso. Non credo che dobbiamo avere paura della parola competizione.
La competitività è uno dei motori della crescita europea, l’importante è che ciò non avvenga a scapito dei diritti delle persone che lavorano. Direi che maggiori standard di competizione, in un quadro di coesione sociale, possano aiutare processi più estesi di cooperazione tra i Paesi, sia che si tratti di completare il mercato interno sia che si tratti di politiche economiche e sociali extraeuropee. Mi riferisco non solo ai rapporti con realtà quali il sud-est asiatico o il nord america ma, particolarmente, con i Paesi del terzo e quarto mondo. L’Europa, da questo punto di vista, può dare un formidabile contributo.
Ci può anticipare le prossime iniziative del Pse sui temi definiti dalla strategia di Lisbona?
Siamo ormai a metà del percorso. Come si sa l’obiettivo è quello di avere, nell’ottica di Lisbona, l’area più competitiva del mondo entro il 2010. Ci sono enormi ritardi. Occorre fare meno chiacchiere e realizzare più fatti per raggiungere questo obiettivo.
Il PSE, proprio in queste settimane, ha discusso ed infine approvato un importante documento teso a dare maggiore impulso alla strategia di Lisbona. Le condizioni principali sono: a) una più forte politica di ricerca e innovazione: b) una politica industriale e dei servizi capace di rendere più competitiva l’Europa allargandone la base produttiva; c) uno sviluppo sostenibile che faccia entrare a pieno titolo la questione ambientale; d) maggiori risorse finanziarie dal bilancio europeo per realizzare l’obiettivo; e) una forte coerenza dell’azione dei singoli Stati membri nella predisposizione delle loro politiche nazionali.
Sarà su questi versanti che si concentrerà l’azione del PSE e penso dovrà esserci coerentemente l’azione delle forze del centro-sinistra anche in Italia.