I beni comuni fra tradizione e futuro

Domani a Roma il seminario della rivista ”Cns-ecologia politica” dedicato ai ”commons dell’umanità”

[Arturo Di Corinto]
www.AprileOnLine.Info n.202 del 16/02/2005.

”I beni comuni fondamentali sono patrimonio collettivo dell’umanità, risorse cui tutte le specie hanno eguale diritto e sono il fondamento della ricchezza reale”. Esordisce così Giovanna Ricoveri introducendo l’ultimo numero della rivista ”Cns, Ecologia politica” – di cui è direttrice – dedicato ai ”Beni Comuni”, e lo fa correggendo subito alcune delle mistificazioni che accompagnano il concetto.

Anzittutto, spiega Ricoveri, bisogna distinguere i beni comuni come l’aria, l’acqua la terra, le foreste e la pesca da cui dipende la vita, facendo attenzione a chiarire che a questa categoria appartengono i saperi locali, le sementi selezionate dall’uomo, gli spazi pubblici, il pool genetico dell’umanità e la biodiversità, importanti per la sussistenza e la sopravvivenza dei popoli. Ma poi aggiunge: ”i beni comuni non sono solo le risorse naturali in quanto tali ma anche gli usi civici o diritti collettivi d’uso di quelle risorse”, in cui la forma partecipata di ”proprietà” le definisce come né pubbliche né private. Insomma, i beni comuni di questa prima categoria non sono merci ma, da una parte, risorse di sussistenza, dall’altra, forme di autorganizzazione delle comunità cui è affidato il controllo delle risorse naturali, condizione necessaria alla loro conservazione.
Dopo i beni comuni fondamentali l’autrice elenca altri due tipi di beni comuni: i beni comuni globali, come l’atmosfera, il clima, gli oceani lo spazio esterno, e poi la sicurezza alimentare e la pace, la conoscenza, l’informazione e Internet, che sono il risultato dell’intelligenza collettiva della specie. Secondo l’autrice poi, i “beni comuni globali” si distinguono dai “beni pubblici globali” laddove spesso per pubblico si intende ”consumabile”. Qui c’è una distinzione decisiva: in un caso l’accento è sul comune, ciò che è patrimonio di tutti, nel secondo è sul pubblico, cioè accessibile da tutti, ma nel senso di commodity, cioè bene da consumare che diventa merce.
Una terza categoria è quella dei servizi pubblici forniti dai governi in risposta alle esigenze dei cittadini: acqua, corrente elettrica, scuola, sanità. E quindi trasporti, amministrazione della giustizia sicurezza alimentare e sociale. Anche questi sono beni comuni per il ruolo che hanno nel mantenimento del legame e della coesione sociale. Quelli che nel testo collettaneo Petrella afferma essere gli elementi del fare società, gli interessi comuni, la ragione dello stare insieme. Questi ultimi sono anche gli elementi di quel welfare che qualcuno in Europa vorrebbe privatizzare, come dice Enzo Bernardo, distruggendo il modello culturale europeo nella convinzione che la gestione privata di quei beni risulta più efficiente ed economicamente vantaggiosa, senza fornire un solo dato a supporto di questa tesi. Motivo per cui in tutto il mondo, da Seattle a Cancun passando per Cochabamba, giovani, lavoratori, sindacalisti, cittadini si sono sollevati contro la privatizzazione delle risorse comuni chiedendo un nuovo modello di sviluppo ma criticando lo sviluppismo e un modello di società dove gli unici ”portatori di interessi” sono i consumatori. Un’idea che secondo Petrella distrugge la cultura del bene comune e impedisce il fare società come conseguenza della distruzione degli interessi comuni.
Il volume, che viene presentato domani a Roma presso la sede della Provincia (alle 15,00 in via IV novembre 119) alla presenza di parlamentari, associazioni e intellettuali, fedele alla storica ambizione della rivista da quando si chiamava Capitalismo, Natura, Socialismo, di analizzare le relazioni interdisciplinari fra sistemi socioeconomici ed ecosistemi naturali, è un duro atto d’accusa come il capitalismo onnivoro che distrugge le risorse naturali e che, incurante della loro riproduzione (risorsa viene da re-surgere, cioè ri-nascere, ri-generare), minaccia il “prossimo futuro”, quello delle generazioni che, forse, se saremo capaci di fermare questa follia collettiva, ci succederanno.