Arturo Di Corinto
AprileOnLine.Info n.168 del 22/12/2004
“L’approvazione della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici”, comunemente detta “sulla brevettabilità del software” è la linea del Piave sulla quale l’Europa gioca la sua indipendenza dall’industria americana”.
Con queste parole Manlio Cammarata di Interlex esordisce in una dura presa di posizione contro il colpo di mano tentato dai lobbysti di Bruxelles per far accettare che le idee, gli algoritmi e l’inventiva relativa al software possano essere monopolizzati dai grandi player del settore imponendo a livello europeo i brevetti sul software.
La battaglia in effetti è epocale e non può essere delegata alle burocrazie europee che hanno finora trattato il problema con estrema superficialità, non ultimo la richiesta di inserire la direttiva all’ordine del giorno del Consiglio dell’Agricoltura di martedì e mercoledì, ultima a riunirsi prima della pausa natalizia di quest’anno, grazie al pressing della presidenza e nonostante l’opposizione esplicita, le perplessità e le raccomandazioni di molti Parlamenti e Ministri degli Stati membri. E nonostante molti vizi di forma, c’è da aggiungere, tra cui proprio l’inserimento nell’ordine del giorno come A-item all’ultimo minuto, cioè come una voce “su cui c’è già accordo fra i paesi membri” – cosa che non è – per la sua adozione, mentre dovrebbe essere trattata come item-B, cioè “da discutere”, ossia come un problema politico da dibattere e sviscerare.
La direttiva sui brevetti software però non è passata perchè eliminata dall’agenda grazie all’intervento della Polonia. Un fatto di estrema rilevanza se consideriamo gli antefatti.
L’obiettivo della presidenza olandese scaduta ieri – agendo contro il suo parlamento che ha votato a larga maggioranza (2/3) contro la direttiva, richiedendo al governo di non portarla avanti – era di consentire non solo la protezione del codice sorgente di un’applicazione software, che è già coperto dal diritto d’autore, ma di estenderla anche al suo output, con il risultato che molti differenti usi con risultati simili sarebbero minacciati da un singolo brevetto trasformando un gran numero di idee in un’area di monopolio. Come dice la Free Software Foundation Europe “Questa è l’unica ragione per cui si brevettano un cestino della carta straccia virtuale, l’inserimento di applicazioni su di un sito web o la possibilità di ordinare dei regali via internet. Idee che non sono particolarmente innovative, ma sono necessarie per far funzionare il complesso delle applicazioni e renderle utilizzabili da chiunque. È qualcosa di analogo a ciò che avviene per le automobili: per poter sfruttare le vere innovazioni bisogna utilizzare cose banali come un volante”. www.fsfeurope.org
Non è ancora chiaro? Per capire l’entità del problema si consideri che il negozio di libri online Amazon.com ha richiesto un brevetto in Europa per difendere la sua “tecnologia singolo click” che permette acquisti con un singolo click, appunto, per gli utenti registrati. Oppure il brevetto per la “barra di avanzamento”, normalmente usata per visualizzare i tempi delle procedure di installazione del software o nell’attesa che si scarichi un sito, già concesso molto tempo prima. O ancora la brevettazione del corpo umano come trasduttore elettrico da parte di Microsoft per garantirsi il mercato dei futuri wearable computer, i computer indossabili per fruire musica e video wireless.
Che significa? Significa che chiunque voglia impiegare simili implementazioni deve pagarne il brevetto al detentore, indipendentemente dal fatto che esso sia stato effettivamente adottato dal registrante o che sia veramente intenzionato a farlo. E col rischio per le piccole e medie imprese di doversi impegnare in un’aspra battaglia legale con i detentori di un brevetto fino ad allora non conosciuto, buttando all’aria mesi e anni di ricerche.
Dopo che a settembre il Parlamento Europeo aveva votato chiaramente contro la brevettabilità degli algoritmi, la Presidenza irlandese propose una versione della direttiva che annullava tutte le modifiche apportate dal Parlamento. Anche se alcuni paesi non l’hanno approvata, questa versione ha ottenuto la maggioranza necessaria nel Consiglio determinando la strenua opposizione delle associazioni per il software libero e i diritti digitali.
Inoltre il maggio scorso il Ministro Lucio Stanca ricordava ai colleghi Ministri il principio di non brevettabilità del software in quanto tale, sottolineando i rischi che l’adozione di un regime brevettuale comporterebbe per il tessuto imprenditoriale nazionale in quanto consente la brevettabilità di formati e protocolli con la conseguenza di favorire lo sviluppo di monopoli de iure, e anche un freno allo sviluppo e diffusione di soluzioni basate su software libero.
A dispetto della nuova Commissione dell’Unione Europea che vorrebbe accelerare il “Processo di Lisbona” per fare dell’Europa “l’economia dell’informazione più competitiva al mondo entro il 2010” potrebbe diventare inutile per le aziende europee investire nell’innovazione tecnologica visto che sono già stati concessi 30.000 brevetti (a Ibm e Microsoft fra i primi) da un Ufficio Europeo dei Brevetti ormai fuori controllo. Come sostiene la Pricewaterhouse Coopers “Un regime blando […] nel passato ha condotto ad una industria del sofware innovativa e competitiva con basse barriere all’entrata. I brevetti software, che servono a proteggere le invenzioni di natura non tecnica, potrebbero abbattere l’alto tasso di innovazione” e beneficiare solo alcune aziende. Le imprese europee non sono fra queste.