USA: I media, gli elettori, i sondaggi
AprileOnLine.Info n.93 del 7.9.2004
[Arturo Di Corinto]
Gli uomini di Bush ce l’hanno fatta. Grazie alla ribalta garantita ai repubblicani dalla convention newyorchese, George Bush non solo è risalito nei sondaggi, ma ha addirittura staccato Kerry di 11 punti.
L’ex sindaco della città ferita a morte l’11 settembre, il repubblicano Rudolph Giuliani, in un’intervista alla Fox News di Rupert Murdoch – da sempre molto vicina ai repubblicani – si è addirittura vantato di come sono riusciti a ribaltare il precedente risultato che vedeva Kerry, lo sfidante democratico, in vantaggio di 5 punti dopo le primarie, ma senza argomentare questo presunto successo.
Se questo è il quadro, un paio di riflessioni sono però d’obbligo. Tanto per cominciare dei sondaggi così diversi e così volatili, a poco distanza l’uno dall’altro, ci fanno dubitare della loro effettiva capacità di anticipare i dati elettorali effettivi che usciranno dalle urne. Il secondo dato è che queste rilevazioni dell’orientamento elettorale degli americani se anche fossero “scientifiche” – basate cioè su su rilevamenti precisi di un campione rappresentativo della popolazione – sono assolutamente dipendenti dalla copertura mediatica di eventi come le convention elettorali e dallo sforzo televisivo dei giornalisti embedded arruolati presso i due schieramenti.
La politica è fatta di simbolismi e si nutre di immagini, perciò in questo la macchina televisiva ha un ruolo fondamentale nell’orientare l’opinione pubblica. E’ però altrettanto vero che gli elettori americani devono fare i conti con un dato di fatto quasi tangibile: le difficoltà dell’economia americana.
La ripresa economica dei primi mesi dell’anno già da’ segni di rallentamento e, per quanto drogata dalle politiche dei tassi d’interesse della Fed dell’inossidabile Greenspan, non si può nascondere che durante la presidenza Bush si sono perduti circa 3 milioni di posti di lavoro e che la durata media della disoccupazione è passata a sei mesi, mentre la percentuale del tasso di partecipazione – la differenza fra chi lavora e chi non è in grado di lavorare – è scesa al 66%.
Anche l’America dei simboli dovrà insomma fare i conti con la realtà. Il terrorismo non aiuta la fiducia negli investimenti e le borse soffrono mentre non si vede la fine della campagna irachena, i cui effetti sull’economia si fanno sentire negativamente.
Ad ogni modo, se proprio vogliamo ragionare in termini di immagine e di immaginario, dopo le polemiche su Bush-imboscato versus Kerry-eroe di guerra, non possiamo prevedere gli effetti sulla platea americana del film in cui il regista Michael Moore denuncia i rapporti fra il clan texano dei Bush e quello dell’eresia wahabita del clan Bin Laden. Nel film inoltre Moore denuncia l’assurdità della guerra irachena con una trovata di forte impatto: dando la parola ai soldati e alle loro famiglie. Che effetto avrà sull’opinone pubblica Usa? Negli States il film premiato a Cannes ha registrato il tutto esaurito nella prima uscita nelle sale e lo stesso è accaduto in Italia.
Forse non basterà un film a ribaltare i sondaggi e gli esiti di una campagna elettorale lautamente finanziata ai repubblicani dal crack della Enron e dagli affari energetici del vicepresidente Dick Cheney e questo sembra capirlo anche Michael Moore. Il regista ha infatti aperto il proprio visitatissimo sito (michaelmoore.com) alla registrazione elettorale on line. Che è il vero tallone d’achille democratico. Negli Stati Uniti infatti, per votare occorre registrarsi al voto e questo è uno dei principali motivi dell’astensionismo, soprattutto fra le classi povere che più facilmente voterebbero per i Democratici. Se lo staff di Kerry capirà questo anziché rincorrere gli umori voltatili dei centristi che rispondono ai questionari, avrà qualche possibilità in più di non lasciare il paese in mano a Bush.