Un film sulla devastazione dell’ecosistema e la brama di profitto
n° 98 del 14/09/2004
Arturo Di Corinto
“Un filmone”. “Un pugno nello stomaco”. “Un grande lavoro d’inchiesta”. “Non lo sapevo”. Questi i commenti più ricorrenti fra gli spettatori al film “The Corporation”, proiettato domenica sera alla festa di Liberazione a Roma.
Cinquecento persone incollate alla sedia per oltre due ore di immagini e decine di interviste cucite dalla mano sapiente di Mark Ackbar – coautore di Manufacturing Consent: Noam Chomsky and the Media – Jennifer Abbott – documentarista famosa per i suoi video sulle problematiche femminili e Joel Bakan – autore di “Just Words: Constitutional Rights and Social Wrongs”.
Il film si interroga sulla natura e il potere delle multinazionali effettuando una requisitoria spietata ma assolutamente realistica degli effetti che esse hanno su comportamenti e stili di vita di milioni di persone, attraverso la colonizzazione dell’immaginario e attraverso l’appropriazione di aria, acqua e terra, beni un tempo comuni e collettivamente difesi e condivisi.
Il film racconta infatti di come viene manipolata l’informazione grazie a media compiacenti (la Fox News di Mudoch), descrive le strategie ricattatorie attraverso cui corporation come la Monsanto riescono a bloccare inchieste giornalistiche di qualità affidando ai propri legali la difesa del segreto di cancerogeni ormoni della crescita iniettati ai bovini di cui beviamo il latte; racconta di come vengono manipolati i consumatori, a cominciare dai più deboli come i bambini, bombardati giornalmente da migliaia di accattivanti messaggi pubblicitari mascherati che hanno il duplice obiettivo di influenzare le scelte dei genitori e di fidelizzare i piccoli futuri clienti; racconta la devastazione ambientale e lo sfruttamento intensivo di risorse non rinnovabili, come le miniere di rame a cielo aperto nel Perù, racconta dei disastri ambientali provocati dalla Dutch/Shell in Alaska, della ribellione e dei morti di Cochabamba, in seguito al tentativo di privatizzare l’acqua in Colombia. E lo fa “dal di dentro”. Il film infatti non solo prende a prestito la voce, le immagini e le denunce di Chomsky, di Vandana Shiva, di Jeremy Rifkin, che argomentano in maniera semplice e diretta la biopirateria e le dittature del profitto ma interroga in prima persona i “responsabili”, talvolta pentiti, talaltra per niente, dell’inquinamento, dei licenziamenti di massa, dei crack finanziari.
Amministratori delegati, capitani d’impresa, broker e spie commerciali, raccontano quei comportamenti di devastazione e rapina che, in spregio al patto non scritto di preservare l’ecosistema per le generazioni successive, sono da considerare senza mezzi termini come patologici. La “Corporation” che ha gli stessi diritti di una persona fisica di vendere, comprare, possedere, di operare nel mercato insomma, a differenza delle persone non ha una coscienza, nè tantomeno senso di responsabilità e si comporta come un organismo malato che divora se stesso.
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