Perchè il Ddl Alfano è una legge pericolosa anche per la rete
Arturo Di Corinto
per La Stampa del 1′ Luglio 2010
La Legge di riforma delle intercettazioni, nota anche come Ddl Alfano, ha generato una vasta opposizione nel paese. Il motivo è noto. Secondo giornalisti, giuristi, magistrati, editori, se il provvedimento, passato al Senato con la fiducia, dovesse essere tramutato in legge, avrebbe l’effetto di silenziare la stampa su notizie di reato di interesse pubblico e impedirebbe agli inquirenti di perseguire efficacemente i criminali. Il risultato sarebbe un’opinione pubblica disinformata e una magistratura con le armi spuntate nel contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata.
E tuttavia non c’è solo questo nella legge. L’articolo 29 del provvedimento, ad esempio, introduce per la prima volta l’equiparazione, in termini di responsabilità, tra una testata giornalistica registrata e un sito informatico che produce informazione a livello amatoriale, imponendo anche a quest’ultimo l’obbligo di rettifica delle notizie come vuole la legge sulla stampa del 1948 e che prevede dure sanzioni pecuniarie nel caso non venga ottemperato.
E’ per questo che l’Internet italiana è in allarme. Oggi gran parte dell’informazione amatoriale passa per siti, blog e social network. E per capire l’importanza dell’informazione amatoriale su Internet basti ricordare che fu un blogger, Macchianera, a scoprire il nome del soldato americano Lozano che aveva fatto fuoco per primo contro Nicola Calipari, uccidendolo, mentre cercava di portare in salvo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. Ecco, il punto è che i produttori indipendenti di informazione che talvolta arrivano prima di altri a dare notizie importanti cui anche le testate tradizionali attingono, non sarebbero in grado di osservare l’obbligo di legge previsto nel Ddl Alfano e di fronte alla minaccia di sanzioni, smetterebbero di fare il loro prezioso lavoro.
A differenza di una struttura redazionale registrata, tutelata e finanziata per legge, non sarebbero infatti in grado di valutare la fondatezza della richiesta di rettifica che nei giornali coinvolge una complessa filiera fatta di professionisti supportati da un ufficio legale. Perciò secondo l’avvocato Guido Scorza, “Il risultato rischia di essere che il blogger, a differenza dei canali di informazione professionale, debba accogliere – per non rischiare la famosa sanzione – tutte le richieste di rettifica che riceve.” E questo avrebbe un ulteriore effetto: la richiesta da parte di un avvocato di pubblicare un’opinione diversa su ciò che si è scritto si tramuterebbe in un modo per intorbidire le acque, instillare il dubbio nell’opinione pubblica e farsi gratuitamente pubblicità anche sapendo di avere palesemente torto.
Il dispositivo appare insomma come un’intimidazione: se al politico di turno non interessa la rettifica sul blog di un sedicenne letto da pochi amici, gli interessa quello che si dice di lui su Wikipedia.it, l’enciclopedia fatta dagli utenti, oppure su Openpolis.it, il database online della storia di ogni singolo politico italiano. L’effetto intimidatorio sarebbe concretizzato dalla possibilità che gli arrivino decine di richieste di rettifica al giorno, e poche richieste non soddisfatte rappresenterebbero per i siti amatoriali la catastrofe economica e la chiusura.
Il tema dei tempi (48 ore o una settimana) e dei modi della rettifica (in automatico o no), previsti dalla legge è importante ma secondario. Come ripete Scorza, l’esistenza o l’inesistenza di un torto – specie negli illeciti di opinione – , è questione che deve necessariamente essere rimessa al giudice perché altrimenti scivolare nella censura o nell’autocensura è fin troppo facile.
E’ per questi motivi che i blogger saranno in piazza coi giornalisti il 1 luglio a Roma: hanno bisogno gli uni degli altri per ottenere il ritiro della legge bavaglio.