L’epoca della Convergenza e i Nuovi Diritti digitali

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20-10-206
Arturo Di Corinto

Oggi possiamo dire che la mitica convergenza dei media si è finalmente realizzata grazie alle tecnologie digitali.
La digitalizzazione delle reti e dei contenuti consente oggi di riunire i singoli media, prima isolati, sulla stessa piattaforma (convergenza digitale), e di portare uno stesso contenuto su piattaforme o media differenti (la divergenza digitale).
Accade così che è possibile vedere un telegiornale sul telefonino, cercare una strada sul palmare, o usare il computer per telefonare. Ma è Internet il vero motore della “rimediazione”, di quel processo cioè che porta un medium a veicolarne un altro. Internet assomma e riunisce tutti i media preesistenti: quotidiani, tv, telefoni, radio, e lo fa attraverso lo schermo del computer e il suo protocollo IP/TCP.

Ma questa Internet non viaggia più solo sullo schermo del computer di casa o dell’ufficio.
Ogni terminale diventa un computer, con chip e software di nuova generazione o con l’aiuto di un set top box che funziona da decoder del segnale digitale.

Però nonostante questo processo di rimediazione, di cui Internet e i computer sono protagonisti, le vecchie piattaforme non muoiono ma si evolvono, la tv diventa digitale, ad alta definizione, interattiva, i telefoni di terza generazione, always on, veicolano servizi prima impensati, e le reti a banda larga portano dentro casa film, concerti, servizi sempre nuovi.
Il processo di convergenza dei media modifica il rapporto che le persone hanno costruito nel tempo con i media tradizionali e sviluppano pertanto nuove forme di fruizione, indipendenti dai limiti spazio-temporali prima obbligati.

Il successo del protocollo IP e di tecnologie di rete a banda larga e digitalizzazione dei contenuti consentono di: integrare informazioni e servizi, di farlo a maggiore velocità, in maniera bi-direzionale e interattiva

Perciò i risultati della convergenza attuale potrebbero essere sintetizzati in base a queste caratteristiche: La convergenza consente maggiore qualità, flessibilità e protezione dei dati, maggiore integrazione di dati e tecnologie, maggiore scelta dal lato utente.

Questo tipo di convergenza genera nuove forme di comunicazione. Non si tratta della riformulazione con un linguaggio nuovo di una realtà preesistente ma di modalità inedite di rappresentazione e fruizione dell’informazione: in qualsiasi momento, da qualsiasi luogo, da ogni terminale purchè digitale e connesso.
Questo modo di fruizione rispecchia a sua volta un cambiamento generale della società, negli atteggiamenti delle persone, nella collocazione del tempo libero e nelle caratteristiche delle forme di lavoro che si autonomizzano da luoghi sempre uguali e dai tempi rigidi in cui si trascorreva la giornata sociale.

Ma probabilmente il limite della convergenza sta tutto nelle infrastrutture di rete.
Oggi la convergenza digitale e multimediale si gioca fortemente sull’ultimo miglio, ovvero sulla connettività domestica, (50 milioni di punti di accesso) oltre che sugli standard e sui formati, per i quali le imprese e i consumatori giustamente chiedono regole condivise.

Molti servizi infatti viaggiano sulle reti della telefonia fissa, sul doppino di rame dell’ultimo miglio, ma questo risulta inadeguato a trasportare l’enorme quantità di dati necessaria ad accedere ai nuovi servizi interattivi o di streaming offerti dalla convergenza delle reti e dei contenuti.

Ci vuole una nuova rete, una rete fissa tutta Internet… forse? Ma molti sostengono che mentre si aspetta la nuova rete a fibra ottica sarebbe importante far funzionare la rete esistente attraverso una buona manutenzione….l’ADSL a 20 mega già disponibile non può essere offerta a tutti per l’inadeguatezza del doppino telefonico di rame.
E la larga banda è effettivamente il tallone d’achille di questa Italia digitale che nell’ultimo rapporto OCSE occupa solo il 20esimo posto per penetrazione rispetto agli altri paesi industrializzati (Gasparri aveva fatto molto promesse su questo…)
Portare la banda larga ovunque non è solo necessità di combattere il digital divide, offrendo ai cittadini l’opportunità di usare i servizi di e-government evoluti e accedere a nuove forme di intrattenimento o di formazione, l’e-learning, o di cura, assistenza e di commercio (e-health, e-business) ma è una necessità industriale. Serve a far decollare il sistema paese che oggi è chiamato a comptere sui servizi ad alto valore aggiunto. E non è detto che la connettivtà a larga banda si debba fare per forza con la posa di nuovi cavidotti.

Il wi-fi come infrastruttura di trasporto è una tecnologia promettente. In Italia si stimano 3 milioni di punti di accesso wi-fi nelle case e negli uffici con un raggio di connettività di circa 10 metri, senza dire poi del Wi-Max e del Wll.

D’altro canto, per una politica della convergenza occorre pensare ai contenuti, ai cambiamenti del modo di fruire di informazione e intrattenimento, ai nuovi segmenti di mercato.

Assistiamo a nuove e inedite alleanze fra fornitori di connettività e di contenuti e occorre favorire per questo una nuova industria dei contenuti che deve essere capace di adeguare il suo modello di business alla società che cambia. Tutti sappiamo del fallito accordo Telecom e Sky, Fastweb l’accordo con Sky l’ha fatto. Tiscali e Wind si preparano a farlo E gli altri operatori?
La Rai, ad esempio è forse la maggiore industria culturale italiana. Ha un archivio sterminato praticamente inutilizzato per una serie di vincoli. E’ in condizione di competere? Chi è che non vuole metterlo a disposizione dei cittadini che l’hanno già pagato col canone e i proventi della pubblicità? Possiamo paragonarla alla BBC che mette a disposizione del pubblico i suoi archivi con un copyright creative commons che consente ai suoi stessi telespettatori di usarlo e modificarlo all’infinito?

Insomma anche qui torna la questione di come le reti e i contenuti possano interagire senza dar luogo a concentrazioni che invece di favorire il mercato e la concorrenza, la deprimono.

Nella convergenza dei media che si basa sulla neutralità della rete, si deve inoltre riconoscere che non ci sono più i media verticali, ma che siamo entrati nell’epoca del web 2.0 e dei media personali. Significa che i cittadini sono consumatori di tecnologia e utenti di servizi di telecomunicazione ma anche che loro stessi producono prodotti digitali e li veicolano nelle reti. E’ un rapporto che si autoalimenta.
Se i cittadini si abbonano alla banda larga, poi vorranno usarla per scaricare musica e film o condividere l’hard disk del proprio computer. Se acquistano cellulari, palmari e telecamere, vorranno condividere l’esperienza che con quei mezzi fanno e sperimentarsi come produttori artigianali di contenuti

Epperò, paradossalmente, mentre i produttori con una mano promettono l’avvento della libertà digitale di produrre e consumare idee, storie, avvenimenti, con l’altra fanno accordi e sollecitano leggi per un uso restrittivo dei loro stessi strumenti offrendo nuovi lucchetti tecnologici alla creatività individuale. Parliamo dei DRM, sistemi tecnologici di protezione e controllo della fruizione di oggetti digitali; del Trusted Computing, chip integrati che agevolano o impediscono l’uso di software e contenuti non certificati, non originali, non pagati, di cui non si siano “risolti i diritti”. Ma come farlo davanti al muro della mancata cooperazione delle major? Come farlo quando talune aziende sono pronte a citarti in giudizio per aver ripreso anche da lontano il manifesto di un loro film o il televisore su cui scorre un episodio dei Simpsons?

E questo è l’altro corno del problema, l’irrigidimento delle misure sul copyright che non solo rende clandestini i comportamenti creativi, minacciando ritorsioni legali verso chi usa nelle propre produzioni personali anche inavertitamente materiali coperto da diritti di proprietà, ma trasforma in criminali i creativi di domani, sovvertendo il patto fra stato e autori alla base della concessione del monopolio del diritto dell’autore, e riducendo ai minimi termini una misura di civiltà giuridica come il fair use (l’uso consentito del diritto anglosassone).
L’esempio più noto sono forse i Vlog, i video blog, di persone che con quel mezzo comunicano, partecipano, raccontano, denunciano, ma sempre sotto la spada di Damocle delle major pronte a citarli in giudizio per aver usato un fotogramma o 3 secondi musicali di loro proprietà.

Questo significa che bisogna trovare un equilibrio fra diritti e doveri dei cittadini e responsabilità sociale delle imprese, con offerte adeguate alla domanda e con modelli di business vincenti, ma anche favorendo la cretività individuale con norme flessibili e generose e consentendo ai cittadini di creare le loro proprie reti, i mesh networks, ad esempio. In questo scenario anche la diatriba fra separazione delle reti e dei contenuti assumerebbe un’altra luce e offrirebbe nuove risposte.

E anche la questione del copyright potrebbe essere ripensata a partire dalle esperienza del Brasile dove un’applicazione non rigida del diritto d’autore favorisce l’inclusione sociale di strati sociali svantaggiati che nel programma Pontos De Cultura sviluppano creatività e artisticità con telecamere, Internet e computer; come pure la proposta delle tariffe flat per l’accesso e la fruizione di contenuti digitali proprietari. È o non è l’epoca della convergenza?