Difendiamo subito le giornaliste dai bulli della rete
di Arturo Di Corinto per CheFuturo! del 8 settembre 2015
Se scrivi e sei donna è facile diventare bersaglio dell’ignoranza e dei pregiudizi maschili, ma se lo fai per lavoro potrebbe essere anche peggio. Sopratutto se ti occupi di politica, religione e sessualità. Le giornaliste donne sono due volte bersaglio di intimidazioni e censure: in quanto donne e in quanto giornaliste. A confermare questa consapevolezza che sta lentamente emergendo, arrivano ora due rapporti, uno dell’OSCE e uno dell’UNESCO. Non che attacchi, minacce e abusi verso i colleghi maschi manchino, ma gli attacchi a donne blogger e giornaliste sono di gran lunga superiori e quasi sempre basate sulla loro appartenenza di genere.
Gli attacchi infatti, quasi tutti a sfondo sessuale, vanno dall’inondazione dei loro profili sociali con immagini raccapriccianti di orge e stupri, alle minacce di morte nelle caselle email, fino agli attacchi informatici ai blog personali e a quelli dei giornali per cui scrivono. E hanno spesso un effetto che non vorremmo mai augurarci: farle smettere di scrivere, o di cambiare argomento. La decisione di smettere risulta quasi sempre essere il trauma psicologico che gli attacchi sessisti causano a loro e alle loro famiglie.
Ed è sbagliato pensare che sia un segno di debolezza proprio delle giornaliste o un fatto che ci riguarda solo da lontano.
Come ha giustamente detto la rappresentante OSCE per la libertà di stampa Dunja Mijatović, “questo tipo di attacchi pone una seria minaccia alla libertà di stampa e alla società intera”.
Il motivo è che questi attacchi inducono spesso al conformismo e all’autocensura. Le giornaliste si ritirano dal campo e certi argomenti non vengono più toccati, sopratutto per la sfiducia nei confronti di chi dovrebbe difendere il loro lavoro, facendo scomparire un punto di vista femminile su fatti e notizie.
Poi c’è una questione di valori e principi che non possono essere ignorati, sopratutto nelle società che si pretendono democratiche. E a ricordarci che non possiamo voltarci dall’altra parte, c’è la pietra miliare della dichiarazione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU (20/8 – 2012), che ribadisce che “tutti i diritti protetti nella vita offline vanno protetti nella vita online, e in particolare la libertà d’espressione”.
Perciò diventa fondamentale che il sistema mediatico attivi degli anticorpi che spesso non ci sono, proprio come ha ribadito la ricerca “Survey of female journalist in the OSCE region“. Anche perchè, si legge nel rapporto, sono gli stessi editori a sottostimare le minacce, talvolta “per ragioni di traffico sul sito online del proprio giornale”.
Anche le organizzazioni internazionali devono fare la loro parte. Per questo la stessa UNESCO nel suo rapporto ha ribadito che la tutela delle giornaliste è una delle maggiori sfide che attendono la costruzione collettiva di una maggiore sicurezza digitale. Una necessità evidente se si pensa che spesso le giornaliste sono spesso oggetto di vere e proprie campagne d’odio e bersaglio di richieste massive di gruppi organizzati, per farle licenziare o espellere dai paesi dove sono inviate a seguire inchieste e conflitti armati.
Non solo. Poichè la misoginia online riflette gerarchie e comportamenti offline (innumerevoli sono le molestie sessuali anche in redazione), i commenti ai loro articoli rarmente si basa sul merito ma piuttosto sull’aspetto, dice Suzanne Ranks, docente dell’Università di Londra, autrice di Women and Journalism: un pregiudizio basato su caratteristiche fisiche e discutibili modelli estetici diventa un pregiudizio intellettuale. Insomma, come ha brutalmente sintetizzato una delle giornaliste intervistate per la ricerca Unesco “poichè sei brutta, quello che dici non ha valore”.
A questo tipo di pregiudizio se ne sommano altri provenienti dall’ambito domestico: in molte culture gli uomini si aspettano che le donne siano sottomesse e il mobbing e la misoginia online sono usate come strumento per “mettere in riga le donne che non hanno un atteggiamento servile”. Perciò è importante che venga riconsciuta la specificità delle aggressioni online verso le giornaliste.
Di sicuro una società più attenta a garantire i diritti delle donne deve essere l’obiettivo di tutti.
E tuttavia delle controstrategie di breve periodo sono possibili. Alcune delle giornaliste che hanno partecipato al sondaggio OSCE hanno dichiarato di aver assunto una identità alternativa in rete e contrattaccato, altre hanno chiesto e ottenuto supporto dalle proprie amicizie online, alcune hanno prodotto comunicati pubblici e chiesto ad organizzazioni non governative di sollevare il proprio caso davanti ali organi competenti e all’opinione pubblica. Alcune, poche in verità, si sono rivolte a degli hacker per imparare “a difendersi online”.
Per discuterne in maniera aperte e inclusiva il 17 Settembre prossimo il Diparimento per la Libertà di stampa dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa terrà una conferenza dal titolo “New Challenges to Freedom of Expression: Countering Online Abuse of Female Journalists” proprio per elaborare piani e idee volti a contrastare il fenomeno (osce.org). È almeno un punto di partenza.