Il Mediattivista Resistente

Disobbedienza Civile Eletttronica
Arturo Di Corinto

Il mediattivismo non è nato ieri, il Net-attivismo sì. Senza andare troppo indietro, basti pensare all’uso “alternativo” che del video fu fatto fin dagli anni 70’.

Strumento di documentazione di performance musicali, eventi teatrali e azioni coreografiche, venne usato per raccontare le storie di operai e contadini, strumento “rivoluzionario” per sviluppare una coscienza di classe. Il passo ridotto, amatoriale per definizione, ha permesso a tutti di registrare grandi e piccoli eventi e di condiverli, divenne oggetto di uno stile sperimentale inteso a costruire nuovi immaginari. Si pensi poi alle radio libere: per i movimenti rappresentarono un veicolo di contestazione e l’alveo comunicativo per stili di vita altri da quelli dominanti; o ancora si pensi alle riviste ciclostilate come “Mondo Beat” che ebbero tanta importanza nella stagione della grande ondata rivoluzionaria e creativa fra il 68 e il 77. Negli anni ’80 poi, si afferma la sperimentazione con il computer: la tastiera divenne strumento per discutere di conflitto e democrazia.
I movimenti sociali, gli attivisti, hanno sempre avuto una gran mole di attività correlate all’uso dei media. Al’interno dei movimenti perfino le “azioni” più dirette presuppongono un alto livello di coordinamento e quindi di comunicazione. Perciò più ampia è la mobilitazione, maggiore deve essere la penetrazione del medium. Una spinta potente a individuare forme di comunicazione autogestite.
Molte delle pratiche del mediattivismo di oggi non fanno altro che rimodulare paratiche del passato. Ma nel frattempo qualcosa è successo. Innanzitutto c’è stata la rivoluzione elettronica che ha immesso nel mercato strumenti di comunicazione personale – dal pc ai cellulari alle videocamere – e poi l’avvento di Internet, la digitalizzazione e la convergenza multimediale in un processo noto come “rimediazione”, il processo per cui un medium ne veicola un altro: la radio da ascoltare in Internet, il documentario in streaming video.
Ad ogni innovazione tecnologica degli strumenti del comunicare è stata sempre associata l’idea utopica di trasformazione della società e della politica prefigurando nuovi spazi di democrazia. Una tesi centrale per spiegare il successo di Internet che per il suo carattere globale, decentrato, resistente alla censura è stato presto accolto dai movimenti come medium rivoluzionario. Un’idea ingenua se non ci si interroga rapporto fra la politica e la rete. Graham Meikle nel libro “Disobbienza Civile Elettronica” prova a spiegarlo, focalizzandosi sull’uso politico di computer in network gestiti con l’intenzione di provocare un cambiamento sociale e culturale nel mondo offline. Per Meikle il momento fondativo del Net-attivismo è stata la rivolta di Seattle del 1999. C’è da dire che anche prima di quella data la rete Internet veniva usata come strumento di protesta e di mobilitazione, ma su una scala più ridotta, meno ricca e interattiva, Anche allora però con l’obiettivo, proprio del mediattivismo, di forzare i media tradizionali, infiltrarli, contaminarli, fino a imporne l’agenda. La prova generale della comunicazione indipendente e globale di Seattle è stato un momento seminale per lo sviluppo di tattiche comunicative, anch’esse rimodulate su pratiche preesistenti – si pensi alle petizioni online o ai sit in virtuali – che fondano parte del loro successo sulla familiarità della pratica e poi sulla “global reach” del mezzo stesso. Il libro elenca molte delle tattiche di “comunicazione guerriglia” usate da hacktivisti, net-attivisti, mediattivisti, e le racconta: dal supporto alla battaglia legale contro McDonald’s ai siti clone di istituzioni come il Wto e quello di Bush, per costruire un messaggio di resistenza, condivisione e denuncia che come obiettivo deve avere la difesa della rete come spazio aperto.
Per Meikle infatti viviamo a cavallo dello “shift” fra la Internet versione 1.0, quella degli hacker e dei ricercatori, aperta e modulare, e la Internet versione 2.0, quella del business e dell’e-commerce, chiusa e presidiata da brevetti e copyright.