Prove tecniche sulla libertà di comunicazione nell’incontro annuale degli hacker.
Virtuosa Babele, L’hackmeeting di quest’anno si è trasferito al Buridda di Genova. Copyright, legislazione internazionale sulla diffusione della conoscenza, esperienze di telestreet al centro dei workshop. Ma all’orizzonte si stagliano le strategie dell’industria informatica sul software libero
Arturo Di Corinto
il manifesto – 08 Aprile 2004
Nella splendida cornice di un palazzo novecentesco, al Buridda occupato di Genova, si è consumato alcuni giorni fa il settimo hackmeeting italiano, l’Hackit04, incontro annuale delle comunità e delle controculture digitali del belpaese. Come già il nome del posto sembrava suggerire – buridda è il nome turco del miscuglio di pesce servito sulle navi ai marinai – anche questa kermesse degli hacker italiani si è svolta all’insegna del «di tutto un po’». Come da copione, moltissimi sono stati gli incontri che si svolgevano paralleli nelle vecchie aule universitarie del centro sociale: per apprendere le tecniche necessarie a fare radio con la rete, studiare insieme reti telematiche e protocolli di comunicazione, ragionare sulle virtù del software libero e godersi un gustoso incontro sul retrocomputing, l’arte e la scienza del riuso dei vecchi computer, «in bilico tra l’archeologia industriale e la paleontologia elettronica». Ma anche «robotica umanoide», privacy e cellulari, crittografia digitale (per essere veramente sicuri e anonimi in rete), accessibilità dei siti web, governo tecnico di Internet, e molti altri workshop.
Al Buridda però si è parlato anche di temi più generali: di libertà di comunicare e di proprietà intellettuale, di e-government, e-democracy. Nella sessione dedicata alle telestreet e le web-tv ad esempio, sono state illustrate le molte esperienze di televisione autogestita (circa 150 in tutta Italia), rivendicando tutte le battaglie per la «riappropriazione dell’etere», bene pubblico in concessione, quasi regalato al monopolio Raiset e proibito alle tv comunitarie e di strada.
I seminari della bolognese «Orfeo Tv» e della genovese «Rosa Ghetto Tv» sono sati invece l’occasione per discutere di come la comunicazione per immagini debba attraversare le reti sociali urbane per consentire la loro «presa di parola» diretta più che per raccontarle, con l’auspicio non tanto di integrare media e «format» che riproducano l’immediatezza dell’esperienza, ma per creare «luoghi-percorsi» di una visione collettiva della metropoli e diventare quindi strumenti per la ricostituzione di un tessuto sociale degradato.
Grande attenzione ha avuto il seminario sul decreto del ministro dei beni culturali Giuliano Urbani, argomento di stretta attualità perché minaccia di colpire pesantemente chi si scambia in rete file coperti da un copyright che nessuno, ma proprio nessuno vuole. Dopo la disamina dei rischi connessi alla conversione in legge del decreto e ribadita la sua incostituzionalità per quanto riguarda la parte relativa alla violazione della privacy, unanime è stata la dichiarazione a favore di forme di tutela alternative al copyright attuale che «somiglia troppo al diritto dell’editore anziche’ al diritto dell’autore e che non tiene conto del fruitore».
Nella riunione degli hacklab, che continuano a spuntare numerosi in tutta la penisola, forse per la prima volta si è discusso approfonditamente della presenza dei professionisti pagati dalle grandi aziende all’interno dei circuiti di sviluppo e di manutenzione del software libero. Una tendenza che potrebbe mettere a rischio il modello organizzativo – da sempre considerato, dagli organizzatori e «frequentatori» degli hackmeeting, democratico, orizzontale e non mercificato – su sui si è finora basata la fortuna della diffusione del software antagonista a quello chiuso, proprietario, altimenti detto «privativo», quello diffuso senza il codice sorgente e protetto da un ristrettivo copyright «Microsoft style».
Come sempre, le cose più curiose capitavano sotto le mani di giovani nerd della tastiera che, stipati nelle stanze autogestite smontavano computer, scambiavano trucchi e ascoltavano «Radio Cybernet», storica emittente della Internet antagonista, alla presenza dei suoi animatori del «Freaknet Medialab» di Catania, uno dei più vecchi laboratori di condivisione del sapere della penisola. Il suo decano, Asbesto Molesto, lasciato a casa il Pc col raffreddamento ad acqua (un pc con vaschetta d’acqua al posto della ventola che raffredda il microprocessore dei computer) è tornato a stupire tutti col suo legnatile, un portatile fatto di mogano e ciliego, autocostruito.
Intanto all’ingresso del centro sociale occupato, il maestro di cerimonie Q3est ammanniva le ricette della cyberkitchen, la cybercucina. Vere e proprie prelibatezze culinarie elaborate e scambiate in rete rigorosamente crittografate. Perché? Semplice. Immaginate un modo migliore per imparare una cosa complicata come la protezione dei file ed email divertendovi?
Da sottolineare inoltre una buona presenza di giovani donne e un evidente abbassamento dell’età media dei partecipanti (dai 16 anni in su) rispetto alle precedenti edizioni dell’hackmeeting. Anche questo è stato considerato un segno della maturità della tecnologia informatica e della complementare diffusione di saperi non convenzionali associati al suo utilizzo diffuso. I rapporti col quartiere? Non sempre facili. Ma il barista del ricco rione dove ha sede il Buridda, interrogato a questo proposito ci ha detto: «Non so esattamente cosa facciano questi hacker. Ma tutti questi seminari sono cultura. E se fanno cultura è positivo».