Una rete di sviluppatori ormai divisa tra «neo-aziendalisti» e liberi creatori che socializzano la proprietà intellettuale
ARTURO DI CORINTO
il manifesto – 30 Novembre 2003
Il 29 novembre si è celebrato in molte città italiane il Linux Day 2003, la terza giornata nazionale di Linux e del Software Libero. I motivi per festeggiare il software rivale di Microsoft sono molti. In Italia, la direttiva emanata dal Ministro per l’Innovazione Lucio Stanca, che invita all’uso del software libero nella pubbliche amministrazioni secondo un criterio costi/benefici, l’adesione di deputati e senatori alla filosofia del software libero, una proposta di legge nazionale per la sua adozione nelle scuole, nella sanità e nei pubblici uffici. Inoltre, aumentano le riviste che se ne occupano e che distribuiscono software libero, i movimenti gli dedicano spazio in molte convention, cresce il numero di sviluppatori nel campo della teledidattica (www.lynxlab.com/ada). All’estero, la Cina, raggiunto l’accordo con la Sun Microsystems, ha deciso di abbandonare definitivamente la Microsoft per il software libero e il Brasile ha deciso che da qui a tre anni tutti i computer acquistati per la pubblica amministrazione useranno free software. Chicca finale: l’annuncio di Linus Torvalds che il nuovo kernel Linux 2.6, il motore di ogni sistema operativo GNU/Linux, è pronto a decollare entro la fine dell’anno.
Tutto bene dunque? Non proprio. Come era forse prevedibile, il successo dei sistemi operativi basati su Linux, favorito da hackers, insegnanti e cantastorie in genere, arriva oggi a un bivio. Nel momento di maggior splendore l’alternativa non è più fra software libero e software non libero, ma tra una visione efficientista e aziendalista del software libero e una visione più etica, utopica e solidale. La sfida imprenditoriale della Open Source Initiative, che ha coniato il termine «open source», si è basata su un assunto che si è rivelato la sua forza, cioè la possibilità di poter accedere al codice sorgente – il linguaggio che istruisce i programmi informatici. Però, come Stallman e tanti altri non si stancano mai di ripetere, la disponibilità del codice sorgente non è il solo elemento interessante nel software libero. L’idea di creare comunità solidali inscritta nella filosofia del free software fa capire che scegliere il software libero solo per la sua qualità non è la stessa cosa che battersi per la libertà e per un mondo migliore.
Oggi una visione pratica e utilitarista è riuscita a imporre a governi e aziende il software libero come valida alternativa al software venduto con licenza esclusiva e senza il codice sorgente.
Le caratteristiche del software libero sono risultate talmente vincenti che la Ibm punta a conquistare una posizione egemone nel mercato attraverso un’operazione finanziaria nei confronti della Novell, che è in trattativa per l’acquisto di Suse Linux, il maggiore «fornitore» di software libero per le imprese. L’intenzione di competere sul mercato aziendale anzichè su quello dell’utenza individuale, ha portato la Red-Hat, prima società di software libero quotata in borsa, a interrompere lo sviluppo di Red-Hat Linux, per lanciare Red-Hat Enterprise Linux.
Tuttavia il panorama del software libero non si esaurisce nelle strategie imprenditoriali di questa o quella società. Ci sono infatti ancora altre distribuzioni di GNU/Linux che fondano la loro ragion d’essere su una concenzione anticapitalista e «antisistema» del software libero. Debian e Slackware sono considerate le distribuzioni politically correct dagli hacker più accaniti, che non sono per niente interessati al successo commerciale del software libero ma alla sua fitness sociale. Come sostiene Jaromil, programmatore e artista, «il software definisce il modo in cui noi comunichiamo, dai telefonini al computer alle apparecchiature elettroniche. Tecnologie come la crittografia o il peer2peer hanno avuto un impatto enorme che ci aiuta a capire questo ruolo del software. Ora, nel momento in cui affidiamo la nostra comunicazione a software sviluppati in un’azienda, o secondo una logica aziendale, stiamo lasciando che degli interessi mercantili decidano come viene strutturata la nostra comunicazione. Il ruolo del software libero invece è quello di fornire un terreno di ricerca che, scevro dagli interessi commerciali delle aziende, si ramifichi ed incentivi l’evoluzione delle nostre modalità di comunicazione».
Quelli che non credono che «il mercato si batte con le sue regole», ma che hanno come stella polare la cooperazione e il libero scambio di informazioni, perseguono insomma altri obiettivi: la conoscenza collettiva, la libertà di parola, la crescita estetica e intellettuale e lo sviluppo sostenibile.
Come quelli di Dyne.org (www.dyne.org/hackers.php) che hanno scritto molto software libero per consentire di fare web-radio o web-televisione con tecnologie a basso costo, anche ai non esperti. Gli stessi hackers che stanno lavorando a nuovi standard di compressione audio diversi dal MP3 proprietario, vantano una completa distribuzione Linux di nome dynebolic. Come i sistemi operativi, gli sviluppatori di software libero non sono tutti uguali. Anzi, è proprio per questo che i sistemi operativi sono diversi fra di loro.