Perché non sono d’accordo con il netstrike

LETTERA
MARIELLA GRAMAGLIA*
03 Novembre 2000

La forma scelta da Arturo di Corinto per narrare il netstrike contro il sito web del Comune di Roma (il manifesto, 24 ottobre 2000) è quella dell’epica. Alle 15 la cavalleria avanza, alle 16 il nemico è allo sbando, alle 17 i vessilli della libertà sventolano sulle pagine Internet del Comune di Roma, “inaccessibili agli utenti”.

La narrazione dall’altra parte della trincea, cioè il mio posto di “combattimento”, potrebbe essere altrettanto epica, ma di segno opposto. Ve la risparmio. Chiunque abbia manifestato sa che nulla è più soggettivo e passionale della cronaca di una manifestazione, reale o virtuale che sia.
Veniamo, invece, ai contenuti. Di Corinto rivolge due accuse dure all’amministrazione comunale. Sostiene che abbiamo peccato di “arroganza” e che abbiamo mobilitato le “maggioranze silenziose”. Arroganti perché riteniamo di avere una responsabilità civica verso centinaia di studenti e insegnanti che fanno didattica on line usando le risorse pubbliche della nostra rete? Arroganti perché pensiamo che i ragazzi debbano lavorare serenamente sul web anche a otto o nove anni, come già accade? Arroganti perché, dopo aver costruito con il Global junior challenge, concorso internazionale sulla multimedialità, una comunità mondiale di giovani in rete che hanno presentato 600 progetti da tutto il mondo, vorremmo che questa comunità diventasse una risorsa educativa per Roma e per l’Italia? E davvero sono maggioranze silenziose l’Agesci e l’Arciragazzi, l’Associazione di comunicazione pubblica, i presidi, i docenti universitari, il Forum del terzo settore, e i mille cittadini comuni che ci hanno tempestato di messaggi di stima e di solidarietà? A volte penso che anche nel radicalismo minoritario ci sia dell’arroganza (in senso proprio: le ragioni dell’altro non contano, sono manipolate o comprate) e non solo in coloro su cui viene proiettato il cono d’ombra del potere.
Non siamo più nel 1994. Lo spazio web non è più un privilegio per pochi, ma è facilmente a disposizione attraverso tanti provider privati. La libertà di riprodurre in mille luoghi pagine che una rete pubblica non può ospitare, lungi dal dispiacermi, come alcune associazioni sembrano credere, mi pare un’ottima opportunità per fare, nei luoghi giusti, sperimentazione su contenuti di frontiera. Come nell’editoria, se Castelvecchi ha la sua linea che non le impedisce di pubblicare anche le prodezze erotiche di Franco Califano, non è detto che gli stessi contenuti vadano bene a Einaudi o ad Adelphi. Altri, meno libertari di noi, compresa l’apprezzatissima Iperbole di Bologna, hanno tagliato da sempre il problema alla radice: non si pubblica nulla se prima non passa al vaglio dei redattori del Comune. E’ una strada, forse meno impervia della nostra, ma anche più tradizionalmente istituzionale.
Ma possibile che una rete civica comunale non abbia diritto ad avere una linea editoriale condivisa con i cittadini, nei cui principi ci sia, con molta semplicità, che contenuti erotici che possono disturbare i bambini non devono stare sulle sue pagine, anche se non hanno rilevanza penale? L’ultima frontiera della sinistra radicale è davvero questa? Poter dire su una rete pubblica che i bambini apprezzano di essere sedotti? E questa sinistra radicale la ritiene una frontiera così importante da meritare un netstrike contro un sito che informa civilmente milioni di utenti, neanche fosse la battaglia contro il sito dello stato del Tennessee per la lotta contro la pena di morte. Io trasecolo. Ma forse sono arrogante.

*Vicedirettore generale del Comune di Roma

Ovviamente Mariella Gramaglia non è d’accordo con il netstrike: difende il suo operato contro il quale è stato organizzato il netstrike. Colpisce però un altro aspetto della sua lettera. Il Comune di Roma, invece di garantire la libertà di espressione, si candida a diventare il censore di comportamenti estranei a una predeterminata (da chi? dal Comune stesso?) “buona vita”. La pedofilia non c’entra nulla e non è una bella cosa rifugiarsi dietro i bambini per giustificare una censura. Altre infatti le cose in ballo: libertà di comunicazione per costruire uno spazio pubblico di discussione. La scelta di oscurare alcune “pagine” ha negato questa possibilità, stabilendo una gerarchia tra cittadini di serie “a” e cittadini di serie “b”. Mariella Gramaglia dovrebbe però rispondere agli appelli firmati da cittadini e da operatori della comunicazione, nonché ai messaggi di protesta sulla sua decisione di oscurare pagine sgradite ai custodi della morale.