Appuntamenti via e-mail per eventi non-sense. Il «Mob project» viaggia
in rete
ARTURO DI CORINTO,
IL MANIFESTO del 16 Luglio 2003
Il 17 giugno duecento persone si sono accalcate all’interno dei
supermercati Macy’s a Manhattan per chiedere un «tappeto dell’amore» a
un basito commesso incapace di spiegarsi quella strana richesta. «Ma chi
sono questi?», si deve essere chiesto: «una setta impegnata in rituali
adamitici? un gruppo di fricchettoni seguaci dell’amore libero? Una
folla di matti?» Niente di tutto ciò. Si trattava dei partecipanti al
Mob Project (mob in inglese significa folla), un esperimento di
socializzazione via-email che organizza gruppi di persone che si
ritrovano all’improvviso in un certo posto per disperdersi subito dopo
e, a parte questo dato, ancora molto poco si conosce del progetto. Non
ha un sito web, non si vedono volantini per le strade e il tutto ha
un’aura di segretezza che stride con il carattere pubblico dell’evento
che produce. All’inizio le uniche informazioni venivano dai racconti dei
passanti, poi qualcuno ha cominciato a inserirli sui blog con tanto di
indirizzo e-mail di riferimento per partecipare:
themobproject@yahoo.com.
Così veniamo a sapere che l’idea è di Bill, un pubblicitario che non si
considera leader del progetto e tantomeno pensa di candidarsi a sindaco.
Però oltre a sconvolgere il commesso di cui sopra è riuscito ad
allertare la polizia di almeno quindici comuni degli states dove molti
altri lo hanno preso ad esempio.
La cosa funziona più o meno così. Se conosci uno che partecipa al
progetto è facile che ti mandi una e-mail con su scritto gli indirizzi
di alcuni punti d’incontro da scegliere in relazione al tuo mese di
nascita (gen-aprile direzione Nord, mag-agosto direzione Est, e così di
seguito). Dopo aver raggiunto uno di questi punti, sotto l’insegna di un
bar, mettiamo fra la sesta e la settima strada di New York, uno del giro
con un cappellino da camionista ti consegna «tre flyer» con su scritto
il posto (the mob site), il convergence point (un palo, un’insegna,
etc.), una frase segreta (le «istruzioni» per l’azione). A quel punto
non devi far altro che dirigerti insieme a tutti gli altri in quel
luogo. Devi muoverti in fretta e non arrivare né un minuto prima
l’orario stabilito né andartene un minuto dopo.
Ma una volta arrivati ci si trova della musica? No, niente altro che i
partecipanti all’esperimento che danno origine a un’azione collettiva. E
in genere si tratta di qualcosa di inutile e senza senso, come
applaudire in trecento da una balaustra al piano rialzato di un centro
commerciale o come chiedere un tappeto in duecento.
Ma qual’è il vero l’obiettivo si sono chiesti in molti? «Nessuno»,
dicono i partecipanti. «Bisogna avere per forza un motivo per
incontrarsi?» In una metropoli come New York, ma potrebbe trattarsi di
Tokyo o Milano, in genere si esce e ci si incontra solo se si ha uno
scopo preciso, foss’anche quello di partecipare a un rituale collettivo
come l’aperitivo serale. Ma spostarsi in metropolitana, fare dei
chilometri e magari farli in gruppo, senza avere come obiettivo un
concerto, una partita di football o una manifestazione, è abbastanza
inusuale. Lo è ancora di più il fatto di non aspettarsi niente da questo
incontro che mette insieme persone distinte per classe, età ed
interessi.
L’apparente insensatezza di questi incontri li ha fatti considerare
performing events, happening artistici, dietro ai quali «sicuramente» si
cela un messaggio da decodificare.
E allora giù coi paragoni. Anche critical mass nasce come un incontro
estemporaneo fra ciclisti, ma l’obiettivo era e ed è di protestare
contro il traffico automobilistico e l’inquinamento, qualcosa di simile
è accaduto coi Babbi Natale Ubriachi di San Francisco che però erano
accomunati dalla voglia di ubriacarsi in gruppo e di provocare turisti e
residenti con regali comprati nei pornoshops di North Beach.
E nel caso del Mob Project? Si tratta di una nuova variante delle derive
psicogeografiche di blissettiana memoria? Lì lo scopo era di modificare
l’ambiente urbano e di lasciarsi modificare dall’attraversamento dello
spazio per riconfigurare il proprio rapporto con la città e lo spazio
circostante. Per il mob project invece, un’ipotesi potrebbe essere
questa. In una società che non comunica, in citttà dove si vive a ritmi
sempre più accellerati e la socialità è una brutta copia di se stessa,
incontrarsi senza avere un obiettivo è un atto di ribellione. Contro lo
stressante timing delle vita quotidiana.
Intanto qualcuno già pensa che il mob project sia il primo passo per
costruire una modalità alternativa di protesta, significativa sia per il
suo carattere decentralizzato che per il training necessario a
incontrarsi e disperdersi alla velocità della luce (si chiamano anche
Flash Mobs), in condizioni normali, quotidiane, per poi utilizzare
queste capacità nelle proteste politiche non programmate davanti a
edifici governativi mescolandosi ai passanti fino al momento dell’azione
vera e propria. Et voilà: sono arrivate le guerrilla protests. Il
prossimo appuntamento è a Manhattan il 16luglio (sito internet:
www.cheesebikini.com)