Intervista. Incontro con Marco De Seriis, autore di “Net.Art. L’arte della connessione”
A.D.C.
il manifesto – 15/01/05
Marco Deseriis è coautore del libro “Net.Art. L’arte della connessione” per i tipi della Shake Decoder, è animatore del nodo italiano del network The Thing, ha sviluppato gran parte della sua attività di pubblicista sulle nuove forme della comunicazione estetica e politica. Gli abbiamo rivolto alcune domande nell’occasione dell’evento berlinese “hackt.it.art”.
Tu hai scritto un libro sulla net-art intesa come arte del network, puoi dirci qual è tua tesi in proposito?
La tesi di fondo del libro scritto insieme a Giuseppe Marano è che la net art sia soprattutto un connettore semantico di pratiche artistico-politiche anche distanti anni-luce tra loro, ma con un elemento comune: l’apertura alla ricombinazione (formale, linguistica, politica) e al gioco di rete. Poco importa, in questo senso, che queste pratiche siano fisicamente connesse alla rete. La rete è il mezzo tramite cui l’ibridazione ha proceduto velocissima. E a un’accelerazione quantitativa corrisponde anche una mutazione qualitativa del modo di fare arte e di fare politica.
Secondo te c’è qualcosa di nuovo nella scena dell’attivismo artistico digitale in Italia?
Sì, qualcosa si muove. Diciamo che ci sono alcuni alcuni gruppi di artisti e hacktivisti italiani (Jaromil, Candida TV, Giardini Pensili) che sono ben noti sulla scena internazionale. Altri, come gli 0100101110101101.ORG, che stanno sfondando anche nel mercato dell’arte tradizionale. E alcuni “giovani”, come Molle Industria, Fabio Franchino e Luca Bertini che rappresentano la seconda onda della net art italiana.
A Berlino c’è hack.it.art, un evento realizzato in cooperazione con istituzioni importanti.
E’ un evento che spazia in varie direzioni, ma con la net art c’entra poco. Il campo di ricerca va da alcune frange creative del movimento italiano alla “vecchia guardia” di Strano Network di Tozzi, Verde e Bucalossi. In ogni caso è significativo che questo tipo di legittimazione venga, ancora una volta, dall’estero.
Perché questo non accade in Italia?
Perché in Italia il ricambio dei dirigenti all’interno del mondo dell’arte è molto più lento. E chi gestisce le istituzioni che potrebbero puntare su questo settore non ne capisce un tubo. Ed è in perenne ritardo.
E’ lo stesso motivo per cui in Italia, al contrario di molte città europee non esistono medialab?
Sì, ed è il motivo per cui la scena degli hacklab italiani, dove esistono capacità e competenze simili a quelle impiegate in alcuni medialab europei, rimane un mondo a parte. Il che ha il vantaggio della totale autonomia, e lo svantaggio di poter dialogare con più difficoltà con un pubblico non politicizzato.