Bentivegna: “La politica è ormai in rete. Ma i leader politici sono ancora all’abc”
Molta presenza, ma poca chiarezza. Ne abbiamo parlato con la docente della Sapienza autrice di “Parlamento 2.0”. “Nessuno ha ancora stabilito se c’è un rapporto tra presenza sul web e voti. Un uso finora prevedibile”. I giudizi sui singoli: “Bersani il più sobrio, Berlusconi fa polverone”
di ARTURO DI CORINTO
per la Repubblica del 9 Febbraio 2013
Sara Bentivegna ha appena dato alle stampe il suo nuovo libro, Parlamento 2.0. Il libro, con i contributi di altri colleghi della Sapienza di Roma tratta delle strategie di comunicazione politica su Internet. Studiosa di rete, digital divide e comunicazione elettorale da tempi non sospetti, è piuttosto critica sulla strategia di autopromozione che i candidati adottano in rete, perciò l’abbiamo intervistata.
Professoressa, ma Internet fa guadagnare voti?
“Non esiste per ora nessun modello teorico in grado di mettere in relazione un tweet o un like con il voto dentro il seggio. Ci sono dei tentativi di prevederlo ma sono scientificamente discutibili”.
Eppure lei col suo gruppo di ricerca state lavorando per capire quanto funziona il marketing elettorale dei candidati.
“Infatti, la grande potenzialità di Internet è quella di penetrare le constituency elettorali, ma paradossalmente la politica non l’ha capita”.
Quindi non serve a niente?
“Non dico questo, dico che la rete può creare un clima favorevole o sfavorevole a un candidato o a un partito e contribuire a farlo conoscere”.
Ad esempio?
“Quando su Facebook si è diffusa l’iniziativa dei “Marxisti per Tabacci” la presa di parola, ironica e puntuale per disvelare dinamiche politiche più ampie ha offerto un’opportunità di riflessione importante per gli elettori, ma in linea generale l’uso che i politici fanno di Facebook è prevedibile. Anche Grillo che riconduce tutto al blog è prevedibile, ma lì funziona una logica di scala, di numeri.”
E twitter? Perché tanto interesse intorno al microblogging?
“Perché è molto usato da comunicatori, giornalisti e professionisti, gente che tipicamente non ha molto tempo per seguire le diatribe su facebook e che lo usa come fonte per approfondire i propri argomenti”.
Cioè?
“Facciamo un esempio. Monti è andato molto bene su Twitter. Il suo “twitter time” doveva prolungare la copertura mediale della sera prima [in cui ha presentato il simbolo, ndr.] ed ha interpretato in maniera corretta la funzione latente del mezzo che è quella di ascoltare gli altri. Per Monti una strategia funzionale a raccogliere informazioni (e gli account) da quelli che hanno partecipato. È un esempio di scuola di come un soggetto appena entrato in politica e in Internet ha saputo creare un evento mediale.”
Ma anche Berlusconi lo fa.
“L’uso che Berlusconi o il suo staff fanno di Internet è un effetto polverone. Non pare che il leader Pdl sia presente direttamente in rete. In ogni caso non è in grado di attivare forme di interazione genuina. Si è visto durante l’intervista della Gruber: i commenti su twitter erano spamming. Il formato comunicativo di Twitter e Facebook non si attaglia a Berlusconi che tende a monologare anziché a dialogare”.
E gli altri a che punto sono?
“L’uso più sobrio è quello di Bersani e del PD anche se in termini giornalistici non produce eventi.”.
E infatti Twitter funziona come agenzia giornalistica ma i follower non sono tutti elettori anzi, come dimostrano diverse ricerche molti sono fasulli.
“Il campione dei social networks non è rappresentativo della popolazione però qualche volta ci dà il polso della situazione, il sentiment della rete”.
C’è ancora da studiare.
“Una cosa è certa, Internet funziona come strumento di aggregazione e di mobilitazione.”
Non tutti i consiglieri dei grandi leader l’hanno capito.