La Repubblica: “L’Agcom non ferma la pirateria digitale che anzi aumenta”. Colpa dell’Effetto Streisand

I SITI oscurati vengono visti e cliccati di più. Come è possibile? Per un motivo semplice: l’oscuramento, spesso interpretato come una censura, aumenta la curiosità verso il sito oscurato che viene cercato e condiviso di più, per solidarietà, sfida o antagonismo e, se chiuso trova sempre qualcuno pronto a farlo risorgere pochi click più in là nella rete. È l'”Effetto Streisand“, un fenomeno che prende il nome dall’attrice Barbra che intimando a un blogger la rimozione di informazioni che la riguardavano aveva ottenuto l’effetto opposto, quelle di farle moltiplicare in rete. Ma se vogliamo andare a tempi più vicini a noi basti pensare a Wikileaks: quando fu chiesto di oscurarlo, centinaia di siti ne ospitarono gratuitamente il “mirror”, una copia fedele del sito stesso. Questo effetto paradossale sembra verificarsi anche con i siti pirata di cui l’Agcom ottiene il blocco dell’accesso per gli utenti italiani. A dirlo è uno studio di Giorgio Clemente, professore emerito di Informatica a Padova, e che sembra dare sostegno scientifico alle tesi di quanti avevano criticato il regolamento antipirateria perché inefficace.


La ricerca. Come fa a dirlo? Il professore ha messo a confronto il numero di accessi unici sui principali motori di ricerca e aggregatori di link pirata ai video di film e serie televisive dal 31 marzo 2014 (data dell’entrata in vigore del regolamento), fino al 10 aprile 2015, prima e dopo l’oscuramento ordinato da Agcom, e ha visto che in una percentuale significativa di casi il numero di accessi al sito oscurato aumenteva anziché diminuire. Per la ricerca sono stati analizzati i dati dell’utenza prendendo come modello l’analisi svolta da Incopro, “Site blocking efficacy study United Kingdom”, e si riferiscono agli accessi unici degli utenti italiani tramite il motore di ricerca di Google usando strumenti di pubblico dominio per l’analisi del traffico e degli accessi a partire dall’elenco dei provvedimenti di inibizione presente sul sito dell’Agcom. Nelle 71 pagine di comparazioni statistiche si scopre ad esempio che il sito Cineblog-01.net oscurato dall’Agcom, nell’aprile 2014 aveva 173 mila utenti unici mentre il nuovo dominio, registrato in Liechtenstein, a novembre 2014 faceva quasi un milione e mezzo di visitatori e a febbraio di quest’anno era schizzato a due milioni di utenti unici offrendo la bellezza di 10.730 opere audiovisive e affermandosi come il sito numero 276 in Italia secondo Alexa. Lo stesso schema si ripete anche per gli altri siti bloccati, anche se con percentuali diverse.

I dubbi della Fimi. Sulla metodologia usata nello studio italiano esprime forti perplessità l’esperto della Federazione Industria Musicale Italiana, Enzo Mazza: “Abbiamo fatto le nostre controprove e vanno nella direzione opposta – ha detto a Repubblica.it – lo studio di Clemente inoltre prende in considerazione gli accessi a siti con redirect attivato dopo il blocco. Questo non significa che il regolamento è inefficace, al contrario, conferma quello che abbiamo sempre sostenuto: ci vuole il blocco IP per evitare i redirect.”

Gli studi internazionali. Quello di Giorgio Clemente è il primo studio indipendente di questo genere effettuato in Europa, perché la precedente ricerca della UE che ha mostrato un effetto Streisand riguardava un singolo sito. Altri studi, condotti da team universitari americani, e australiani evidenziano una riduzione del downloading illegale a seguito di misure repressive ma anche lo spostamento verso altre forme di pirateria, come i cyberlocker e le reti private virtuali impossibili da tracciare, quello che si chiama effetto Hydra.

Come funziona il regolamento Agcom. In effetti il provvedimento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) consente ai detentori di diritto d’autore di segnalare eventuali violazioni del copyright direttamente ai suoi uffici e se l’istanza è stata presentata in maniera corretta, chiede agli internet provider e agli hosting provider del sito pirata di impedirne l’accesso e questi ultimi devono rimuovere i contenuti pirata dai propri server. Se il contenuto contestato non viene rimosso nei tempi previsti, Agcom invia l’ordine di blocco. La procedura apparentemente semplice e lineare è però onerosa, pagano i cittadini e le telco che finanziano l’Autorità e non l’industria del copyright, per attuare un “enforcement” che secondo Assoprovider costa ben 12 milioni di euro annui agli ISP che devono eseguirne gli ordini. Tuttavia, secondo Federico Bagnoli Rossi, segretario della Federazione che tutela l’audiovisivo (Fapav) il regolamento finora ha funzionato egregiamente: “Noi abbiamo ottenuto 26 procedimenti di inibizione ma è importante che nella lotta alla pirateria commerciale intervengano insieme procure, Agcom e autoregolamentazione. Il regolamento sta favorendo l’ingresso di nuovi soggetti nel mercato e lo sviluppo dell’offerta legale, ma non basta, si dovrà arrivare al blocco degli IP pirata.”

Antipirateria, costi e benefici. Come spiega Maurizio Mensi nel libro Il diritto del web (con Pietro Falletta, Cedam 2015) gli interventi dell’Agcom devono essere improntati a criteri di proporzionalità e adeguatezza secondo lui efficacemente adottati dall’Autorità. Ma questa lotta alla pirateria digitale ha, secondo gli esperti, dei costi che devono essere giustificati dai benefici. Mentre la Corte dei Conti americana ha già chiarito che non è possibile quantificare i danni prodotti dalla pirateria, nel 2013 il capo economista dell’Intellectual Property Unit inglese, Tony Clayton, aveva detto  “non si hanno prove che l’approccio basato sulla repressione funzioni realmente”. Nel 2014 la stessa Autorità antipirateria francese Hadopi aveva sostenuto che bloccare siti web non è una soluzione efficace contro i pirati evidenziando gli enormi costi legati al procedimento. Quindi se la procedura italiana si dimostrasse troppo costosa e inefficace nel raggiungere i propri obiettivi, probabilmente si imporrebbe una nuova riflessione.

Parlano i legali. “Intanto”, dice l’avvocato Fulvio Sarzana, “c’è già la magistratura che effettua queste attività. A gennaio del 2015 la Guardia di Finanza, in un solo giorno, su disposizione del GIP di Roma ha eseguito l’ordine di inibizione all’accesso attraverso i provider per ben 124 siti per violazioni del diritto d’autore, a fronte dei 34 provvedimenti emessi sino a quel momento dall’Agcom in un anno. Senza oneri aggiuntivi per lo Stato, visto che le risorse impiegate da Agcom sono frutto di una “tassazione” verso privati, ma che sono usati da una struttura pubblica”. Fulvio Sarzana e Bruno Saetta nell’ebook “I pericoli e i danni del web blocking nella tutela del copyright”, fanno i conti in tasca all’Agcom e dedicano un capitolo proprio al regolamento e sottolineano che la gestione informatica delle procedure di inibizione è fatta dalla Fondazione Bordoni, incaricata senza gara di contratto di 534 mila euro, che però può lievitare a consuntivo. Sul tasto dolente dei soldi spesi dall’Agcom per la repressione della pirateria – durante la relazione annuale dell’Agcom il presidente Marcello Cardani ha lamentato la scarsezza di risorse dell’organismo – interviene anche l’avvocato Guido Scorza – “Visto che l’Agcom spende soldi del sistema e dei contribuenti è importante che li spenda bene. Forse se i titolari dei diritti ritengono utile questo strumento di anti pirateria, potrebbero contribuire ai suoi costi.”

Così, mentre in Parlamento si moltiplicano le proposte di riforma del diritto d’autore e quelle per migliorare il regolamento, come spostare il fuoco dell’azione sui flussi economici della pirateria, su di esso pende la spada di Damocle della Corte Costituzionale. A ottobre sarà chiamata a esprimersi sulla legittimità del regolamento antipirateria in quanto danneggerebbe la libertà d’espressione dei cittadini italiani.

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