Lovink, il teorico del digitale in Italia: “Il Datagate è una rivoluzione”
Il direttore dell’Institute of Network Cultures di Amsterdam parla di movimenti e futuro digitale: “Stacchiamoci dagli schermi e ricominciamo a guardarci negli occhi”. E fa una previsione: “Alle prossime rivelazioni di Snowden ci sarà una sollevazione” di ARTURO DI CORINTO del 4 aprile 2014
“MANCA ancora una teoria critica della rete. Una teoria che sia in grado di indicare la strada per sfuggire all’abbraccio mortale delle media company che tengono in ostaggio le nostre vite nel web.” Questo in sintesi il messaggio ripetuto da Geert Lovink ieri al Teatro Valle di Roma in contemporanea con la conferenza di Richard Stallman a Visiva, città dell’immagine, sul tema del software e dell’hardware liberi . Chiamando alla sollevazione artisti e attivisti “per riprendersi la capacità di guardarsi negli occhi ed evitare l’isolamento di una vita connessa ma individualistica”.
“Per fortuna lo scandalo del Datagate ha innescato un nuovo momento di politicizzazione di tanti che la rete la usano ogni giorno, è il punto d’inizio della fine dell’egemonia americana nel mondo”, dice Lovink. Il professore olandese di media studies non è solo uno dei maggiori analisti europei delle dinamiche della società dell’informazione, ma è il teorico dei “media tattici”, cioè di un uso flessibile e “situazionistico” dei mezzi di comunicazione, analogici e digitali. La definizione, ha raccontato, deriva dalle riflessioni dei primi anni ’90 subito dopo la caduta del muro di Berlino e al riflusso dei movimenti pacifista, femminista, antinucleare, ed è alla base del Mediattivismo come teoria e come pratica.
Il mediattivismo, come Lovink ha raccontato in un saggio seminale di anni fa (Media Activism, Derive Approdi, 2002) implica l’utilizzo dei media per generare azioni collettive e cambiare lo status quo. Come? Attraverso la narrazione critica e partecipata degli eventi sociali usando i cosiddetti “personal media”: telefonini, videocamere. macchine fotografiche e computer. Un’idea che ha generato un intero mondo di senso, anzi, un vero e proprio movimento. Il mediattivismo, che ha conosciuto momenti decisivi prima durante le contestazioni di Seattle del 1999, poi a Genova nel 2001, per arrivare alle grandi manifestazioni pacifiste contro la guerra in Iraq, ha tra i suoi lasciti sia Indymedia.org (la prima piattaforma mondiale di open publishing), che la breve ma intensa stagione delle Telestreet in Italia teorizzate da un altro “cyberfilosofo”, Franco “Bifo” Berardi.
Ma oggi che anche i movimenti e gli attivisti si sono riversati in massa su Twitter e Facebook, lo scenario che Lovink immagina è distopico e a tratti sembra dare ragione a Eugeniy Morozov che in “The Net Delusion” (L’ingenuità della rete, Codice Edizioni, 2011), denuncia l’inefficacia dei movimenti sociali che interpretano il web come strumento di cambiamento, spazio di conflitto e
terreno di autogoverno. Per Morozov il mondo non è cambiato, se non in peggio, con l’uso pervasivo delle tecnologie digitali, facendo eco a un altro teorico italiano, Carlo Formenti, che nei suoi libri ha denunciato le nuove forme di sfruttamento della produzione collettiva online, che la privacy è finita e che lo “sciame” nella rete non è sempre intelligente. Eppure secondo Lovink qualcosa accadrà. “Non è casuale che Dilma Roussef voglia una Internet che non passi più sul territorio degli Usa che Hollande e Merkel vogliano adesso un web europeo”. Il tema è quello del cloud computing, il maggior strumento di controllo delle nostre vite digitali.
Sarà per questo che sempre di più gli attivisti si rifugiano nel deep web e che gli artisti si dedicano al retrocomputing, cioè all’archeologia informatica? “Forse.” dice Lovink. “I movimenti sociali su Internet sono deboli. La Net art è destinata a scomparire lasciando il posto alla vendita e musealizzazione di opere digitali, e il “network populism” impazza sui media mainstream. È finita
un’ideologia.” Tesi che affronta nel suo ultimo lavoro italiano, Ossessioni Collettive. Critica dei Social Media (Bocconi editore, 2012). “Voi in Italia siete fortunati. Vent’anni di Berlusconi vi hanno aiutato a rimanere critici, ma di fronte a Facebook o Google che ormai agiscono da provider di identità digitali per accedere alla rete e ai suoi servizi, solo quello di Anonymous è il vero
attacco al business. Ce ne accorgeremo con le prossime rivelazioni di Snowden, quando si capirà che lo spionaggio massivo dei dati e delle comunicazioni non c’entra niente col terrorismo, ma molto con l’economia”.