La Repubblica: Non solo Twitter, la mappa della censura web nel mondo

la-repubblica-it-logoNon solo Twitter, la mappa della censura web nel mondo

di Arturo Di Corinto per La Repubblica del 21 Marzo 2014

IL BLOCCO di Twitter da parte del premier Erdogan è solo l’ultimo in ordine di tempo dei numerosi tentativi di imbavagliare il dissenso online. La censura della comunicazione tra pari tipica di blog e social network ha raggiunto proporzioni enormi. Reporters senza frontiere lo denuncia ogni anno nel suo rapporto “I nemici di Internet” e per questo ha indetto il 12 marzo la giornata mondiale contro la censura.

Altre organizzazioni non governative mantengono traccia delle ripetute violazioni del diritto fondamentale a comunicare, tra queste Amnesty International. La Open net initiative, un consorzio universitario, ha stimato che almeno 74 paesi censurano i propri cittadini e nel suo sito offre analisi sempre aggiornate della censura online e ne raccoglie le evidenze attraverso uno strumento progettato ad hoc dall’Università di Harvard: Herdict.

Le tecniche di censura usate da stati autoritari e talvolta anche da quelli democratici sono numerose e vanno sotto il nome collettivo di Peking Consensus: un mix di tecnologie di sorveglianza e repressione che spesso si trasformano in formidabili silenziatori delle proteste. Quelle più usate sono basate sul filtraggio di Internet, l’ip-blocking, il dns poisoning. Ma una forma di guerra totale al dissenso è quella di chiudere Internet, la rete che si vorrebbe a prova di guerra atomica. È successo in Egitto e Tunisia durante la primavera araba, in Myanmar, Iran, Siria e in alcune regioni della Cina.
Ecco una mappa ragionata della censura online nel mondo.

Non solo Twitter, la mappa della censura web nel mondo

 

Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti pubblicano informazioni sulle loro pratiche censorie e inviano delle notifiche ai siti che oscurano.

Il Bangladesh prevede la chiusura di siti di news e perfino l’arresto per “crimini digitali” comprendenti la diffusione di “informazioni fasulle, oscene o diffamatorie”. In base all’Information and Communication Technology Act del 2006, nel 2013 ha chiuso diversi siti e arrestato quattro blogger e attivisti per i diritti umani.

In Bielorussia, in base al Decree 60 il governo tiene costantemente aggiornata una blacklist di siti da bloccare. Per la maggior parte si tratta di siti di news e Ong, di gruppi e partiti d’opposizione.

Cina. I motori di ricerca cinesi, con l’ausilio di una “milizia” di 40.000 operatori umani rimuovono minuto per minuto ogni riferimento a situazioni di instabilità politica. Le parole bannate dalle ricerche sono “Primavera Araba”, “Occupy Wall Street”, “Falung Gong”, “Tibet”. La legislazione proibisce la diffusione di “dicerie” che riguardano il governo. I cybercafè sono obbligati a installare software di tracciamento. Il 22 gennaio scorso le autorità hanno disconnesso una larga porzione di Internet per impedire la circolazione di rapporti riguardanti i paradisi fiscali usati dall’elite cinese.

Francia e Germania. Sono censurati i contenuti web che riguardano il nazismo a l’Olocausto. Nel 2013 in Francia è stata ordinata a Twitter la rimozione di contenuti antisemiti. In Francia in base all’Article 17 della legge sulla parità di genere sono bloccati contenuti di carattere sessista, omofobo o discriminatorio verso i disabili.

Italia. Dal 1′ aprile saranno censurati i siti che consentono la condivisione di file protetti da diritto d’autore senza intervento della magistratura anche se contenenti materiali legittimi. Attualmente questo accade giornalmente sia per la pirateria online che per reati legati a pedofilia, pornografia, scomesse, ma dietro richiesta della magistratura.

Iran. Dopo diversi anni dalle proteste del 2009, la cosidetta Rivoluzione verde, il blocco dei “social” è stato tolto senza preavviso, ma il paese islamico sta lavorando attualmente con la Cina per creare una “Halal Internet”, una “Internet pura”, cioè una infrastruttura nazionale sotto controllo governativo che possa essere disconessa dal World Wide Web quando necessario.

La Malesia per chiudere i siti dell’opposizione ha usato i gli attacchi di negazione di servizio (Denial of service attacks – DDoS), l’accusa è sempre quella di diffamazione.

Il Myanmar (ex Birmania) che durante la Rivoluzione zafferano del 2007 ha disconnesso la propria infrastruttura da Internet, ha usato spesso la riduzione della connettività come strumento di censura.

Russia. Il social network Vkontakte, è monitorato dallo FSB, i servizi segreti, che attraverso di esso raccolgono informazioni sugli oppositori di Putin. Molti sono gli episodi di censura originati da questo controllo, in genere basati sull’accusa di diffondere contenuti “non adatti ai giovani”, anche quando non è vero.

Nord Corea. l’Internet coreana è controllata attraverso il Mirim College che addestra pirati informatici a sabotare siti di propaganda sud-coreana dentro e fuori il proprio territorio.

La Siria dall’inizio della guerra civile ha rallentato la connettività di rete nelle aree occupate dagli oppositori al regime. In particolare questo accade dopo le preghiere del venerdì. Nel novembre 2012, ha bloccato le comunicazioni internet e telefoniche per 48 ore. La Siria utilizza più di altri paesi strumenti per reindirizzare il traffico Internet verso siti filogovernativi.

In Sudan, le autorità, per prevenire una serie di proteste organizzate via social network hanno bloccato la rete per tutto il 25 settembre 2013.

In Tunisia, il 12 novembre 2013 è stata annunciata la creazione di una Agenzia, la ATT,  per monitorare le comunicazione e assistere la magistratura nella raccolta di prove collegate a “crimini informativi e delle comunicazioni” senza consultare Parlamento e società civile. L’agenzia ATT ricorda anche linguisticamente la Tunisian Internet Agency (ATI), simbolo della censura del deposto presidente Ben Ali.

Turchia. Con la legge 5651 del 5 febbraio 2014, il governo obbliga gli internet service provider a trasformarsi in agenti di sorveglianza e censura attuando rimozioni e blocchi selettivi di contenuti online sgraditi e di collezionare tutti i dati degli utenti e perfino le loro email. In caso contrario gli revocano la licenza.

Stati Uniti. Nei campus e nelle biblioteche pubbliche americane sono bannati materiali di carattere erotico e impedito l’accesso e lo scambio di contenuti coperti da copyright. Per spegnere internet in caso di rischi alla sicurezza nazionale nel 2010 è stata proposta dal senatore Lieberman la “Kill switch bill”. Ma il dipartimento per la sicurezza nazionale ha già il potere di bloccare tutte le comunicazioni, inclusa Internet, in base allo Emergency Wireless Protocols. In USA ci sono i DNS server che reindirizzano il traffico Internet in tutto il mondo.

In Venezuela, il successore di Chavez, Maduro, ha obbligato gli ISP a filtrare “contenuti sensibili” Nei mesi scorsi le autorità hanno richiesto di mettere offline 50 siti web contenenti informazioni sull’inflazione economica e i tassi di cambio della moneta. Il 24 febbraio, in occasione della diffusione in rete delle foto delle proteste studentesche, le autorità hanno chiesto agli Isp di bloccare tutte le immagini su Twitter.

Uzbekistan. A tutt’oggi sulle homepage di siti scomodi campeggiano avvisi di blocco del servizio a causa della pornografia anche quando non la contengono.

Vietnam. Sono attualmente 35 i blogger in carcere per aver criticato il governo.

IL BLOCCO di Twitter da parte del premier Erdogan è solo l’ultimo in ordine di tempo dei numerosi tentativi di imbavagliare il dissenso online. La censura della comunicazione tra pari tipica di blog e social network ha raggiunto proporzioni enormi. Reporters senza frontiere lo denuncia ogni anno nel suo rapporto “I nemici di Internet” e per questo ha indetto il 12 marzo la giornata mondiale contro la censura. Altre organizzazioni non governative mantengono traccia delle ripetute violazioni del diritto fondamentale a comunicare, tra queste Amnesty International. La Open net initiative, un consorzio universitario, ha stimato che almeno 74 paesi censurano i propri cittadini e nel suo sito offre analisi sempre aggiornate della censura online e ne raccoglie le evidenze attraverso uno strumento progettato ad hoc dall’Università di Harvard: Herdict. Le tecniche di censura usate da stati autoritari e talvolta anche da quelli democratici sono numerose e vanno sotto il nome collettivo di Peking Consensus: un mix di tecnologie di sorveglianza e repressione che spesso si trasformano in formidabili silenziatori delle proteste. Quelle più usate sono basate sul filtraggio di Internet, l’ip-blocking, il dns poisoning. Ma una forma di guerra totale al dissenso è quella di chiudere Internet, la rete che si vorrebbe a prova di guerra atomica. È successo in Egitto e Tunisia durante la primavera araba, in Myanmar, Iran, Siria e in alcune regioni della Cina.
Ecco una mappa ragionata della censura online nel mondo.

Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti pubblicano informazioni sulle loro pratiche censorie e inviano delle notifiche ai siti che oscurano.

Il Bangladesh prevede la chiusura di siti di news e perfino l’arresto per “crimini digitali” comprendenti la diffusione di “informazioni fasulle, oscene o diffamatorie”. In base all’Information and Communication Technology Act del 2006, nel 2013 ha chiuso diversi siti e arrestato quattro blogger e attivisti per i diritti umani.

In Bielorussia, in base al Decree 60 il governo tiene costantemente aggiornata una blacklist di siti da bloccare. Per la maggior parte si tratta di siti di news e Ong, di gruppi e partiti d’opposizione.

Cina. I motori di ricerca cinesi, con l’ausilio di una “milizia” di 40.000 operatori umani rimuovono minuto per minuto ogni riferimento a situazioni di instabilità politica. Le parole bannate dalle ricerche sono “Primavera Araba”, “Occupy Wall Street”, “Falung Gong”, “Tibet”. La legislazione proibisce la diffusione di “dicerie” che riguardano il governo. I cybercafè sono obbligati a installare software di tracciamento. Il 22 gennaio scorso le autorità hanno disconnesso una larga porzione di Internet per impedire la circolazione di rapporti riguardanti i paradisi fiscali usati dall’elite cinese.

Francia e Germania. Sono censurati i contenuti web che riguardano il nazismo a l’Olocausto. Nel 2013 in Francia è stata ordinata a Twitter la rimozione di contenuti antisemiti. In Francia in base all’Article 17 della legge sulla parità di genere sono bloccati contenuti di carattere sessista, omofobo o discriminatorio verso i disabili.

Italia. Dal 1′ aprile saranno censurati i siti che consentono la condivisione di file protetti da diritto d’autore senza intervento della magistratura anche se contenenti materiali legittimi. Attualmente questo accade giornalmente sia per la pirateria online che per reati legati a pedofilia, pornografia, scomesse, ma dietro richiesta della magistratura.

Iran. Dopo diversi anni dalle proteste del 2009, la cosidetta Rivoluzione verde, il blocco dei “social” è stato tolto senza preavviso, ma il paese islamico sta lavorando attualmente con la Cina per creare una “Halal Internet”, una “Internet pura”, cioè una infrastruttura nazionale sotto controllo governativo che possa essere disconessa dal World Wide Web quando necessario.

La Malesia per chiudere i siti dell’opposizione ha usato i gli attacchi di negazione di servizio (Denial of service attacks – DDoS), l’accusa è sempre quella di diffamazione.

Il Myanmar (ex Birmania) che durante la Rivoluzione zafferano del 2007 ha disconnesso la propria infrastruttura da Internet, ha usato spesso la riduzione della connettività come strumento di censura.

Russia. Il social network Vkontakte, è monitorato dallo FSB, i servizi segreti, che attraverso di esso raccolgono informazioni sugli oppositori di Putin. Molti sono gli episodi di censura originati da questo controllo, in genere basati sull’accusa di diffondere contenuti “non adatti ai giovani”, anche quando non è vero.

Nord Corea. l’Internet coreana è controllata attraverso il Mirim College che addestra pirati informatici a sabotare siti di propaganda sud-coreana dentro e fuori il proprio territorio.

La Siria dall’inizio della guerra civile ha rallentato la connettività di rete nelle aree occupate dagli oppositori al regime. In particolare questo accade dopo le preghiere del venerdì. Nel novembre 2012, ha bloccato le comunicazioni internet e telefoniche per 48 ore. La Siria utilizza più di altri paesi strumenti per reindirizzare il traffico Internet verso siti filogovernativi.

In Sudan, le autorità, per prevenire una serie di proteste organizzate via social network hanno bloccato la rete per tutto il 25 settembre 2013.

In Tunisia, il 12 novembre 2013 è stata annunciata la creazione di una Agenzia, la ATT,  per monitorare le comunicazione e assistere la magistratura nella raccolta di prove collegate a “crimini informativi e delle comunicazioni” senza consultare Parlamento e società civile. L’agenzia ATT ricorda anche linguisticamente la Tunisian Internet Agency (ATI), simbolo della censura del deposto presidente Ben Ali.

Turchia. Con la legge 5651 del 5 febbraio 2014, il governo obbliga gli internet service provider a trasformarsi in agenti di sorveglianza e censura attuando rimozioni e blocchi selettivi di contenuti online sgraditi e di collezionare tutti i dati degli utenti e perfino le loro email. In caso contrario gli revocano la licenza.

Stati Uniti. Nei campus e nelle biblioteche pubbliche americane sono bannati materiali di carattere erotico e impedito l’accesso e lo scambio di contenuti coperti da copyright. Per spegnere internet in caso di rischi alla sicurezza nazionale nel 2010 è stata proposta dal senatore Lieberman la “Kill switch bill”. Ma il dipartimento per la sicurezza nazionale ha già il potere di bloccare tutte le comunicazioni, inclusa Internet, in base allo Emergency Wireless Protocols. In USA ci sono i DNS server che reindirizzano il traffico Internet in tutto il mondo.

In Venezuela, il successore di Chavez, Maduro, ha obbligato gli ISP a filtrare “contenuti sensibili” Nei mesi scorsi le autorità hanno richiesto di mettere offline 50 siti web contenenti informazioni sull’inflazione economica e i tassi di cambio della moneta. Il 24 febbraio, in occasione della diffusione in rete delle foto delle proteste studentesche, le autorità hanno chiesto agli Isp di bloccare tutte le immagini su Twitter.

Uzbekistan. A tutt’oggi sulle homepage di siti scomodi campeggiano avvisi di blocco del servizio a causa della pornografia anche quando non la contengono.

Vietnam. Sono attualmente 35 i blogger in carcere per aver criticato il governo.

 

© Riproduzione riservata 21 marzo 2014

Lascia un commento