Caccia alle streghe su Internet

homepage_wired_06_03_2009Caccia alle streghe su Internet
Arturo Di Corinto – per Wired.it
Di Arturo Di Corinto |06 marzo 2009 |Categorie: Cultura

Internet non è la più grande agorà pubblica che l’umanità abbia mai conosciuto, ma il luogo elettivo di pedofili, hacker malvagi e terroristi. E di mafiosi. O almeno è così sembrano pensarla molti parlamentari italiani impegnati in una concitata caccia alle streghe che su Internet si darebbero convegno.
Secondo Gabriella Carlucci del Popolo della libertà, ad esempio, poiché è importante “assicurare la tutela della legalità nella rete Internet” bisognerebbe impedire l’anonimato in rete e per questo si è fatta promotrice di un progetto di legge, il 2195, che dovrebbe garantire che ogni testo postato online possa venire ricondotto al suo autore. Secondo Luca Barbareschi (Pdl), invece, poiché Internet “sfugge molto spesso a ogni tipo di controllo”, e poiché la pirateria multimediale “costituisce oggi un fenomeno in forte ascesa, il cui trend negativo deve essere improcrastinabilmente bloccato”, è necessario attribuire oneri e responsabilità agli intermediari, leggi gli Internet Provider, con la proposta numero 2188, presentata in Parlamento lo scorso 11 febbraio.

Ma le dichiarazioni che hanno fatto più scalpore sono state quelle dell’UDC D’Alia secondo cui: «Facebook è un sito indegno, perché consente l’esistenza di gruppi che inneggiano a Raffaele Cutolo, a Salvatore Riina e agli stupratori. Se il gestore del sito non si fa carico di cancellare questi soggetti dal sito, è giusto che tutto Facebook venga oscurato». Stesso discorso fa il senatore per Youtube e per eventuali scambi di insulti e minacce tra utenti nei forum nei blog. Da questa idea naif della rete è nato l’emendamento 50 bis da lui introdotto nel decreto Sicurezza approvato al Senato che consente al ministero degli Interni di procedere all’oscuramento di siti Internet che siano sottoposti a indagine giudiziaria per contenuti che contemplino l’istigazione a delinquere e l’apologia di reato.
Il senatore che, si legge su Wikipedia, è stato eletto per la prima volta con una lista civetta in Sicilia e che ha votato a favore dell’indulto proposto dall’allora ministro Mastella, è stato duramente criticato in rete per aver proposto un’inutile aggravio legislativo ed ha determinato la risposta del senatore Vincenzo Vita del PD, già sottosegretario alle Comunicazioni ed esperto di new media, che ci ha dichiarato: “Non ho votato l’emendamento perché nonostante originasse da buone intenzioni, la sua scrittura era tecnicamente pericolosa. Non c’è bisogno di nuove leggi, c’è troppa enfasi normativa in questi settori. Con le leggi attuali già oggi se c’è un’indagine che accerta responsabilità definite, il sito può essere oscurato. L’emendamento D’Alia, oltre che dannoso per la sua ampiezza e indeterminatezza avrebbe delle conseguenze profondamente inutili, di tipo censorio”.
E infatti il senatore del PD ha ragione. Poiché il nostro ordinamento dispone già degli strumenti utili a intervenire sia a livello nazionale (il decreto legislativo 70/03, attuazione della direttiva comunitaria sul commercio elettronico 2000/31 CE), sia a livello internazionale in base agli schemi cooperazione giudiziaria qualora il sito che ospita contenuti illegittimi non si trovi fisicamente in Italia. Inoltre, poiché è la magistratura che chiede la rimozione dei contenuti illeciti, non è necessario l’intervento del Ministero come vorrebbe D’Alia.
E infatti Vita ci dice: “Mi auguro che l’emendamento venga cancellato alla camera col concorso di D’Alia perchè è stato un errore”.
Ma al di là di queste “sviste” che forse derivano da una scarsa conoscenza della materia, l’emendamento ha altre implicazioni. L’oscuramento tramite DNS dal 50-bis, rivolgendosi ai fornitori di connettività, ha l’effetto di impedire il traffico nazionale verso il sito che ospita il contenuto illegittimo, ma lascia che il contenuto continui ad essere visibile nel sito di origine, rendendo anche problematico il tracciamento dell’autore del reato che nell’ordinamento italiano che è il vero responsabile della condotta illecita. Quindi da una parte si determina un danno economico per il gestore del servizio mentre dall’altra è ipotizzabile una valanga di cause risarcitorie che potrebbero essere evitate con un semplice e rodato meccanismo: quello della rimozione dei contenuti incriminati sulla base di una semplice ingiunzione al fornitore di hosting.
“In caso contrario sarebbe come bloccare le strade che dal porto vanno in città per impedire il contrabbando di sigarette”, ci dice l’avvocato Guido Scorza. E continua, “l’errore del provvedimento è che non contempera la tutela delle libertà dei cittadini che fruiscono il servizio con la pur giusta repressione di crimini commessi da pochi”.
Insomma, a dispetto di quello che i nostri parlamentari pensano, anche la rete non sfugge al controllo dello Stato. Mentre ai nostri parlamentari sfugge che il Governo italiano è promotore a livello internazionale di una carta dei Diritti della Rete – un insieme di principi di autoregolamentazione di Internet – che da cinque anni viene discussa fra imprese, associazioni, esperti e governi in seno alle Nazioni Unite. Una proposta che verrà ulteriormente discussa durante il futuro G8 della Maddalena e a novembre in Egitto. La natura transfrontalieria e ubiqua di Internet e la forma “liquida” dei suoi contenuti, rendono infatti impensabile che un singolo Stato possa avere successo nella sua regolamentazione. Obiettivo della Carta è infatti garantire la libertà degli utenti e il rispetto della legge, l’accesso ai contenuti e la tutela del diritto d’autore, la privacy e la libertà d’espressione, al contempo promuovendo l’apertura e l’accessibilità della rete a tutti.
Ma è possibile che anche in questo caso la mano destra non sappia quello che fa la mano sinistra?

Lascia un commento