Internet: vecchi conflitti, nuove crociate

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Internet: vecchi conflitti, nuove crociate
Di Arturo Di Corinto |17 marzo 2009 |Categorie: Politica

Papa Benedetto XVI ha rimproverato i suoi collaboratori di non aver cercato su internet le informazioni sul vescovo negazionista Williamson. Nella seconda metà di marzo la Commissione Libertà Pubbliche di Bruxelles avvierà la discussione sull’Internet Bill of Rights. La comunità internazionale a novembre si ritroverà in Egitto su richiesta delle Nazioni Unite per affrontare i nodi dello sviluppo della pace e della democrazia attraverso i network digitali.

Mentre le grandi istituzioni pubbliche e religiose, europee e sovranazionali, riconoscono direttamente il valore informativo di internet, la sua capacità di veicolare messaggi positivi e promuovere sviluppo e benessere, in Italia la libera manifestazione del pensiero su internet continua a suscitare reazioni scomposte. “Sembra un riflesso d’ordine che forse è il riflesso del clima che si respira nel paese”. A pensarla così non sono solo i blogger, fatti oggetto a più riprese di tentavi di regolamentazione calati dall’alto, ma un difensore della costituzione che ha ricoperto importanti incarichi istituzionali, Stefano Rodotà, professore di diritto, ex parlamentare e Garante della Privacy, oggi membro della commissione sui diritti umani della Ue.

Se fosse possibile indicare un momento in cui il clima ha cominciato ad invelenirsi, dovremmo tuttavia risalire al tentativo di alcuni politici di regolamentare i blog, proponendo di iscriverli al ROC, al registro della stampa. La proposta iniziale di Ricki Levi fatta durante il governo Prodi aveva suscitato tante proteste da farla cadere, ma successivamente era stata riproposta nella legislatura corrente con varie richieste di emendamento, fino alla comparsa della Cassinelli 2. La proposta dell’onorevole Cassinelli è una riscrittura della discussa legge 62/2001 sull’editoria e prevede che un prodotto editoriale periodico debba essere registrato quando impiega due persone regolarmente retribuite (proprietario a parte) e quando abbia un volume del fatturato minimo di 50 mila euro annui. Inoltre, nel terzo articolo della legge cancellerebbe il reato di stampa clandestina in quanto l’omessa registrazione di editore e stampatore non produrrebbe alcuna conseguenza penale. Cassinelli della PDL, l’ha chiamata “legge salvablog”.

Ma se a questa aggiungiamo il dispositivo di legge sulle Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, notiamo che c’è una disposizione che ne vanifica il tentativo, all’articolo 15, mirato a regolamentare le procedure di rettifica: “Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

Quindi il blogger amatoriale non ha responsabilità editoriale per Cassinelli, ma non se ne potrebbe andare in vacanza se non vuole essere reo di non aver fornito una rettifica.

Alla vigilia della giornata mondiale contro la cybercensura promossa da Reporter senza frontiere e Amnesty International, l’11 marzo la Suprema Corte (con la sentenza numero 10535) ha confermato la legittimità del sequestro di alcune pagine web del sito dell’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (Aduc), su cui erano stati pubblicati messaggi di partecipanti a un forum sulla religione cattolica, che la magistratura di Catania aveva ritenuto offensivi verso il comune sentimento religioso, per le opinioni espresse a proposito dello scandalo dei preti pedofili.

È questo perché i nuovi mezzi di comunicazione e manifestazione del pensiero, non possono rientrare nel concetto di stampa e, a differenza della stampa l’autorità giudiziaria può quindi esercitare un controllo diretto.

Che cosa sta succedendo?

Accade che quest’enfasi normativa sia da un lato il riconoscimento da parte della politica del grande impatto sociale che internet ha nella società dell’informazione, dall’altra che la politica insegue questa rivoluzione, in maniera scoordinata, con la propria agenda e per rappresentare interessi particolari, nonostante la tecnologia, e i suoi utenti, siano sempre un pezzo avanti.

Se infatti ogni giorno arriva una proposta di regolamentare internet in senso restrittivo, è difficile pensare a una reazione scoordinata. Forse c’è dell’altro e spiegarlo con l’ignoranza del legislatore non è sufficiente.

Secondo Beppe Grillo, che ha diffuso un messaggio di aiuto a tutto il mondo per sostenere i blogger italiani, il motivo è chiaro: il Presidente del consiglio e i suoi uomini non tollerano la rete perché è l’unico spazio che non possono controllare. Almeno per il momento verrebbe da dire, perché la rete è e rimarrà libera finché il contesto sociale in cui si sviluppa rimarrà democratico, e non è libera laddove le società non sono libere.

L’ennesimo rapporto di Reporter Senza Frontiere annunciato il 12 marzo ha denunciato il rischio dittatura in rete anche in paesi democratici come l’Australia e la Corea del sud, quindi non più solo la Cina, Cuba, e i soliti paesi arabi e centroasiatici che guidano la classifica delle censura da sempre.

Quanto ci vorrà perché l’Italia rientri nella lista?

Secondo Vicenzo Vita, vicepresidente della Commissione Cultura del Senato della Repubblica, l’incapacità di comprendere la portata profonda di internet è grave perché internet non è più una roba di hacker e ricercatori, ma riguarda tutti, e per questo invece di imporre sanzioni e gabelle che ne indebolirebbero il potenziale democratico, è tempo di costruire insieme le regole “deontologiche” per un suo utilizzo armonioso e rispettoso dei diritti di tutti. Ma allora perché D’Alia, Carlucci, Levi e altri parlamentari la vogliono irreggimentare?

“Se quello di D’Alia è stato uno scivolone, è vero che spesso le altre proposte di regolamentare la rete sono mera propaganda e spesso servono interessi altri”. “Piuttosto è da guardare con attenzione ciò che accade all’interno della Commissione Masi, quella sulla pirateria digitale”.

E infatti è noto da tempo che chi non ama l’anarchia organizzata di internet e invoca ordine e polizia, preferisce sventolare i fantasmi del razzismo e della pedofilia quando preferirebbe dire “pirateria”. La stessa Gabriella Carlucci, che ha finalmente postato nel suo blog la proposta di legge sul divieto di anonimato in internet “per proteggere i più deboli”, offre un documento word che si scopre redatto da Davide Rossi di Univideo – che è anche l’avvocato dell’onorevole – fiero difensore del copyright tradizionale che due mesi fa alla Camera aveva sostenuto che internet è antidemocratica, inutile e pericolosa.

La questione è complessa. Secondo Rodotà non sono più accettabili gli arbitri legislativi ai danni di chi su internet fa informazione e società in nome della tutela dei più deboli ma anche che, per evitare che prevalga la legge del più forte, leggi le grandi corporations, è tempo di “soft law”, cioè della costruzione di regole condivise.

Più radicale l’approccio di Stefano Quintarelli, imprenditore e blogger, che nel commentare a caldo la sentenza della Cassazione che ha portato al sequestro dei forum dell’Aduc dove si parlava di preti pedofili non ravvisando nei forum le garanzie della libertà di stampa, dice: “se la libertà di espressione del pensiero in rete non può essere tutelata dalle leggi sulla stampa è giocoforza che non si possa imporre la responsabilità editoriale a gestori di forum e blog”.

Quintarelli è un fiume in piena e sbotta: “La rete deve essere neutrale, la responsabilità deve essere individuale, la rete non si deve filtrare”. “Io sono a favore dell’anonimato protetto, gli intermediari non c’entrano, e la magistratura deve indagare caso per caso, perciò la sentenza della Cassazione dovrebbe far cadere il castello di carta delle ultime proposte di legge.”

Intanto il Parlamento si prepara a legiferare e fra circa un mese vedremo gli effetti di questo scontro fra la ragione e l’ossessione o se volete, fra i libertari della rete e i nuovi crociati.

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