CameraConVision perché un barcamp non basta per salvare il turismo
Troppi cambiamenti fanno male al turismo. Senza regole e investimenti certi si rischia di tessere la tela di Penelope La politica ricominci dalla governance
di Arturo Di Corinto per Wired del 19 Novembre 2014
Oggi in Parlamento si terrà un barcamp sul futuro del turismo: CameraConVision. Organizzato dall’instancabile responsabile della comunicazione di Montecitorio e dall’intergruppo parlamentare sull’innovazione “capeggiato” da Stefano Quintarelli, apre le porte veramente a tutti.
L’idea di portare blogger, imprenditori, accademici e amministratori pubblici del turismo a dialogare insieme senza gli ostracismi del passato è sicuramente una buona idea, tuttavia le idee da sole non bastano.
In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 a oggi, si sono succeduti quattro ministri del turismo, Michela Vittoria Brambilla, Piero Gnudi, Massimo Bray, Dario Franceschini.
Negli stessi anni si sono succeduti e rincorsi 3 direttori generali incaricati del turismo; Roberto Rocca, Biagio Costa, ancora Rocca, Onofrio “Ninni” Cutaia.
In tre anni Promuovitalia, l’agenzia tecnica del Ministero che si occupa di turismo, dall’avere i conti in ordine si è ritrovata a non poter discutere il bilancio ed è stata messa in liquidazione incapace di pagare dipendenti e fornitori.
L’Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo, da quella macchina mangiasoldi che si dice che fosse, è stata messa talmente a dieta che oggi ha meno del suo fabbisogno di funzionamento. È stata commissariata e diventerà un ente pubblico economico e quindi obbligata a contratti di diritto privato, motivo per cui lavoratori lì assunti con concorso eserciteranno l’opzione di essere trasferiti presso altro ente pubblico: lì almeno c’è certezza di paga e carriera. L’Enit oggi non ha i soldi per fare le fiere, gestire le sedi estere, promuovere l’Expo2015. Pochi i soldi in cassa, ha dovuto stoppare una campagna promozionale, “Made in Italy”, che cominciava a dare i suoi frutti e il direttore attuale che l’ha voluta probabilmente sarà sacrificato al nuovo statuto per fare posto a una diarchia dirigenziale sotto un presidente amministratore.
In tre anni sono stati prodotti tre studi su come rilanciare il turismo nel Belpaese: il cosiddetto piano Gnudi (una rielaborazione del lavoro di Boston Consulting Group con azioni 2.0 a breve, medio e lungo termine), il “Piano Bray”, un rimaneggiamento coraggioso del precedente, i “paper” del Laboratorio del Turismo Digitale (TdLab) che ha chiuso i battenti anzitempo, forse per le dimissioni del suo coordinatore, l’ex consigliere del Ministro, Stefanio Ceci.
Insieme a tutto questo c’è un processo di riorganizzazione complessiva del sistema turismo non ancora concluso: prima c’era un Ministro del turismo con un dipartimento dedicato solo al turismo presso la Presidenza del Consiglio, poi un ufficio del turismo presso il Dipartimento affari regionali, turismo e sport, poi una direzione del turismo inglobata dal Ministero dei Beni Culturali un anno fa con una riduzione complessiva di personale, dirigenti e impiegati, da 120 a 35 persone e con una dotazione finanziaria che da quasi 90 milioni di euro è passata a scarsi 30 milioni.
Nel frattempo è stato chiuso l’Osservatorio Nazionale del Turismo, era una bella intuizione. È stato chiuso il servizio di informazione turistica Easy Italia, ma il sito del Mibact non se ne è accorto.
È stata chiusa pure la struttura di missione per il rilancio dell’immagine dell’Italia capeggiata in epoca Gnudi da Flavia Coccia. Tutto quello che aveva fatto è finito alle ortiche.
Se pensiamo a questi fatti, con Promuovitalia messa in liquidazione e il commissariamento di Enit, capiamo che la governance del turismo finora è stata gestita molto male.
È chiaro che ogni volta che cambia un ministro, cambia anche il capo di gabinetto, quello dell’ufficio legislativo, gli esperti, e poi tutti i factotum, i sottopancia, gli addetti alla comunicazione. In assenza di un passaggio di consegne che non si verifica mai, è facile immaginare che ricominci sempre tutto daccapo, e ogni politica del turismo pare la tela di Penelope: l’ultimo arrivato smonta quello che hanno fatto i predecessori e se ricomincia non sempre arriva a finirlo, visto che anche stavolta le elezioni sono alle porte. Nei corridoi ministeriali già si vocifera di un presunto impegno del ministro Franceschini nelle primarie per sindaco di Roma insieme a Paolo Gentiloni per l’election day di primavera, quando, forse, dicono, ci saranno le elezioni politiche e amministrative.
Da qui si capisce perchè l’Italia non riesce a competere con gli altri paesi concorrenti.
Se la governance del turismo non è solida e duratura, gli operatori del settore, non sempre illuminati, non sanno su quali fondi, stanziamenti e referenti appoggiarsi; se non conoscono i numeri e target non possono organizzare strategie e offerte adeguate; se non gli garantiscono regole certe, si trattengono dal fare investimenti, e così via.
Per chi non conosce la Pubblica Amministrazione, l’assenza di governance di un settore può sembrare l’ennesimo fallimento della casta, ma chi lo capisce sa che non ce lo possiamo permettere.
Speriamo che dopo il barcamp si cominci a pensarci per davvero.