La Repubblica: Ecco il Freedom of information Act: più trasparenza con la PA ma mancano le sanzioni

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Ecco il testo del decreto del Freedom of Information Act italiano. Un chiaro tentativo di equilibrare gli interessi delle amministrazioni e dei cittadini, ma le molte eccezioni lo renderanno difficilmente praticabile se rimarrà così com’è

di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 12 febbraio 2016

ABBIAMO un Foia. L’Italia ha finalmente una legge per la trasparenza amministrativa e contro la corruzione. Quello che Matteo Renzi aveva promesso nel giorno del suo insediamento due anni fa, lo ha fatto il ministro per la Pubblica Amministrazione Marianna Madia nella legge di riforma che riorganizza la pubblicità, la trasparenza e la diffusione di informazioni da patte delle amministrazioni pubbliche. Nel provvedimento infatti è introdotta una nuova forma di accesso civico ai dati e ai documenti pubblici, quella che nei paesi anglosassoni chiamano Freedom of information act o Foia.

Leggi la bozza definitiva del Foia (in Pdf)


Cautamente soddisfatta la ministra Madia: “Più trasparenza deve significare più conoscenza dei cittadini, non più burocrazia. Noi lo stiamo facendo da quando siamo al governo, da soldipubblici.it a open cantieri. E il ranking internazionale sulla trasparenza ce lo riconosce. Con il decreto approvato in cdm, continuiamo in questa direzione per rendere sempre più soggetta al controllo sociale la gestione delle risorse pubbliche. Inoltre, introduciamo l’accesso ai dati e documenti della PA legato al diritto di cittadinanza e non a un interesse soggettivo”.

Ecco il Foia. Grazie a questo provvedimento chiunque d’ora in avanti avrà diritto a conoscere non soltanto i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria della PA ma anche quelli oggetto di accesso civico, pur non essendo direttamente interessato come accadeva con le precedenti normative. E questo con un nuovo ruolo dell’Autorità Anticorruzione, che avrà il potere di precisare gli obblighi di pubblicazione dei dati e con l’ausilio del Garante privacy. Un ruolo diretto è previsto anche per l’Agid (Agenzia per l’Italia digitale) che dovrà assicurare la comprensione dei dati di spesa delle PA, di concerto col Ministero per lo Sviluppo Economico, attraverso la gestione del sito “Soldi Pubblici.”  Inoltre sul rispetto di queste previsioni di legge vigilerà l’Anac che potrà intervenire a irrogare sanzioni specifiche in caso di violazione degli obiettivi di trasparenza a cui gli amministratori pubblici sono tenuti.

Le novità più rilevanti per i cittadini digitali riguardano però l’obbligo di fornire i dati e non solo le informazioni e i documenti che vogliono conoscere e l’affermazione del diritto di accesso anche a chi non è soggetto direttamente interessato. Con un’apertura degna del Foia americano il decreto recita così: “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti”.

Tutto bene allora? Non esattamente. Di sicuro il decreto appare come un modo per equilibrare gli interessi dei cittadini e delle amministrazioni, inclusi i diritti delle persone che nell’amministrazione lavorano. Un equilibrio di interessi che, in questa fase, prima dell’esame delle Camere, forse è l’unico possibile. Però, nonostante i proclami della legge, c’è una cosa che manca e che i bene informati attribuiscono alla rivolta dei rappresentanti dei vari ministeri, ed è l’assenza di un vero meccanismo di enforcement nel caso di rifiuto all’accesso. È lapalissiano che nelle società democratiche un diritto per essere goduto non può solo essere proclamato, ma deve essere reso effettivo attraverso delle sanzioni. Ecco, le sanzioni in caso di rifiuto non ci sono. E nel decreto lo stesso silenzio amministrativo diventa strumento di rifiuto legittimo della PA.

Quindi potrà accadere che il giornalista che vuole sapere se e come sono stati spesi i soldi per l’acquisto degli F35 dovrà aspettare trenta giorni per sapere se la sua richiesta è stata accettata o meno e se non riceverà risposta dovrà considerarlo un rifiuto. Potrà allora appellarsi agli Urp o ai reposnsabili della trasparenza amminsitrativa competenti per quel settore e solo in seguito potrà appellarsi a un tribunale amministrativo regionale con le difficoltà e i costi che comporta. Se è invece un cittadino che vuole conoscere come il proprio comune spende i soldi delle tasse si ritroverà nella stessa situazione, ma potrà andare a cercare queste informazioni sul sito soldipubblici.gov.it. Buone notizie invece per i ricercatori che acquisiscono il diritto di ottenere i dati elementari delle elaborazioni statistiche nel rispetto delle leggi vigenti.

Le eccezioni. Insomma fin qui, potrebbe essere un ottimo risultato di compromesso, ma le troppe eccezioni previste renderanno difficile praticare i diritti riconosciuti ai cittadini che vogliono sapere. Il range delle eccezioni alla regola della trasparenza è molto ampio. La legge infatti dice che l’accesso è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti alla sicurezza pubblica e nazionale, alla difesa e alle questioni militari, nonché alle relazioni internazionali. E può essere rifiutato su documenti relativi alla politica e alla stabilità finanziaria ed economica dello Stato, alla conduzione di indagini sui reati e al loro perseguimento, sulle attività ispettive e quando coinvolge gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali”.

Gli esperti dicono che… L’avvocato Guido Scorza, docente di diritto informatico, ci dice esattamente questo: “Davanti a limitazioni tanto generiche, ci sarebbe stato bisogno, almeno, di un sistema rapido ed efficace di risoluzione delle controversie tra il cittadino che chiede l’accesso e l’amministrazione che lo rifiuta. Una soluzione veloce ed economica.” Ma così non è. Infatti, se l’amministrazione ritiene che qualcuno possa legittimamente opporsi alla pubblicazione di certe informazioni quest’ultimo deve essere informato e per essere messo nella condizione di produrne la motivazione le ragioni dell’opposizione. Secondo Scorza “i più forti, ostacoleranno sempre l’accesso dei più deboli alle informazioni, diffidando l’amministrazione da riconoscere l’accesso richiesto”.

Mentre l’avvocato Fulvio Sarzana, avvocato esperto di digitale, aggiunge: “Abbiamo colto nel segno con le nostre critiche. La presenza di eccezioni obbligatorie all’accesso relative da un lato alle attività ispettive delle autorità indipendenti (come Banca d’Italia, Consob e Agcom) e dall’altro ai cosiddetti interessi privati che precludono l’accesso, sono in grado di sottrarre, agli organi di informazione ed ai cittadini, informazioni rilevanti per la vita del Paese”.

Ma allora è un vero Foia? Durissimo anche Guido Romeo, uno degli animatori del Foia4Italy: “È un testo che sembra disegnato apposta per scoraggiare la pubblicazione e a penalizzare l’accesso, con il rischio di creare non pochi problemi alle amministrazioni che vorranno effettivamente favorire la trasparenza esponendole al rischio di ricorsi e cause. È un’arma assolutamente spuntata – continua – se si vuole fare trasparenza sul lavoro delle partecipate, che spesso abbiamo visto al centro di casi di corruzione o malagestione”.

Il testo è già in Conferenza unificata Stato Regioni e al Consiglio di stato. La delega scade il 28 di questo mese e le camere daranno il parere proprio nell’ultimo mese in cui è possibile. Insomma ci sono altri tre mesi prima dell’ultimo passaggio in consiglio dei ministri. A volere essere ottimisti, il testo sarà migliorato. È quello che chiede un piccolo gruppo di parlamentari in calce a una lettera del segretario di Agorà Digitale, Marco Scialdone, che tra le altre cose chiede proprio di eliminare il “silenzio diniego” e di introdurre sanzioni per il rifiuto illegittimo a fornire le risposte richieste.

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