La Repubblica: Diritto di accesso alla rete e diritto di “uscita”, tra privacy e sicurezza. Un libro sulla legge che non c’è

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La Repubblica: Diritto di accesso alla rete e diritto di “uscita”, tra privacy e sicurezza. Un libro sulla legge che non c’è

I contenuti della Magna Charta delle libertà della rete – che non è ancora diventata legge – nell’analisi appassionata di un gruppo di giovani giuristi nel volume “Il Valore della Carta dei Diritti di Internet” dedicato alla memoria di Stefano Rodotà

di Redazione Repubblica del 12 Giugno 2020

“Ma domani a che ora c’è lezione su Google Classroom?” “Microsoft Teams ti funziona?” “. Vero che Zoom ci ruba le password?” Frammenti di un discorso quotidiano che non faremmo senza Internet. E lo stesso vale per tutto il dibattito sulla privacy delle app di contact tracing, sugli attacchi informatici aumentati del 300%, lo smart working e la necessità di regolarlo, il “rischio pedofilia” su Tik Tok, argomenti entrati ormai nella quotidianità delle relazioni.
 
Adesso che abbiamo sperimentato l’utilità di usare Internet per sopravvivere alla pandemia, l’accesso alla rete ci appare scontato. Come pure la possibilità di studiare a distanza, fare un concerto e ordinare la spesa online. Ma la Rete è un bene scarso e ce ne accorgiamo solo quando non ce l’abbiamo. A dimostrarlo un agile volumetto dell’Editoriale Scientifica intitolato alla memoria di Stefano Rodotà (scomparso appena tre anni fa) e dal titolo “Il valore della Carta dei diritti di Internet”. Il testo, realizzato da un gruppo di giovani giuristi e curato da Laura Abba e Angelo Alù, parte dai 14 punti della Carta dei diritti approvata dal Parlamento italiano nel 2015 per aggiornare una serie di riflessioni sulla natura della Rete che scontate non sono per niente: inclusività e digital divide, diritto all’oblio, hate speech, proprietà intellettuale ed equo utilizzo.

Il trattatello parte proprio dal Diritto d’accesso, articolo 2 della Carta, “precondizione di ogni altro diritto digitale o dell’esercizio online dei diritti tradizionali” come dice nel testo Guido D’Ippolito, dando una veste giuridica alla dichiarazione di Tim Berners Lee, l’inventore del Web, che ha paragonato l’accesso ad Internet all’accesso all’acqua.
 
Ma il diritto d’accesso è anche il fondamento di una storia che si perde nelle origini del Millenium Development Goals dell’Onu degli anni 2000 e si intreccia con la vicenda degli Internet Governance Forum globali, i “parlamentini” dove gli utenti della rete si incontrano per discuterne evoluzione e sviluppo. Una storia incominciata a Tunisi con l’appello Tunisi Mon Amour e poi diventata la storia dell’Internet Bill of Rights nelle mani di Stefano Rodotà. Con il supporto di una variegata coalizione di esperti, programmatori, politici e difensori della privacy, il giurista aveva infatti presentato la proposta di una Magna Charta dei diritti online ad Atene nel 2006 con l’obbiettivo di far riconoscere a livello globale l’importanza della Rete per la “manutenzione” della democrazia nell’era tecnologica.
 
Perché? Perché i regimi autoritari da sempre percepiscono la rete come una minaccia: sia per la libertà d’espressione che consente, sia per essere un fattore di crescita economica utile all’emancipazione dei cittadini. Un fatto, quello della censura della rete che si ripete dalle origini della sua diffusione di massa con la scusa di proteggere di volta in volta autori e produttori, piccoli business e minori, e che ha reso emblematiche le parole di Lawrence Lessig: “Fare la guerra a Internet vuol dire fare la guerra ai nostri figli: non possiamo impedire ai nostri figli di essere creativi, ma se criminalizziamo la tecnologia rendiamo i nostri figli pirati e clandestini.” La citazione di Vanessa Ingino all’interno del libro ci riporta a uno dei temi fondamentali della Carta: come valorizzare i prodotti dell’ingegno umano aiutando le generazioni creative a costruire sui beni comuni della conoscenza senza predare il lavoro delle generazioni precedenti violandone il diritto d’autore. Temi trattati nell’articolo 3 che affida alle Istituzioni la responsabilità di assicurare “la creazione, l’uso e la diffusione della conoscenza in rete”, “di acquisire e di aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare Internet in modo consapevole per l’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà fondamentali”, “per rimuovere ogni forma di ritardo culturale” e “consentire la crescita individuale e collettiva.”
 
Gran parte del libro è però relativa al diritto alla privacy. Nato come diritto a essere lasciati in pace, nella formulazione di due avvocati, Luis Brandeis e Samuel Warren (The Right To Privacy), oggi vuole dire diritto all’autodeterminazione informativa. Un diritto riconosciuto anche dal regolamento europeo della Privacy, Gdpr, esito di un fecondo lavoro a cui sempre Stefano Rodotà – due volte Garante italiano della protezione dei dati personali e Presidente dei Garanti Europei -, ha dato forte impulso prima che diventasse legge per tutti. Anche per le piattaforme globali che commerciano dati europei, “i poteri incontrollabili” a cui faceva riferimento il professore emerito quando parlava della profilazione online, mettendoci in guardia dalla “dittatura dell’algoritmo.”
 
Come dice il curatore del volume: “Nel Carta dei Diritti ci sono tutti i temi di cui dibattiamo oggi: linguaggio dell’odio, la manipolazione politica, il digital divide. Il lavoro di Rodotà è stato profetico e anticipatorio di una serie di problemi già in nuce che hanno trovato compiutezza oggi.”
 
L’obbiettivo del libro è quindi di rimettere i diritti di Internet al centro del dibattito giuridico e politico, con la prospettiva di portare il Diritto a internet dentro l’apparato legislativo. “In Italia si parla di innovazione ogni tanto ma manca una sensibilità vera su questi temi. Manca nella società e quindi manca anche nella politica.”
 
Forse è per questo che nonostante una mozione votata all’unanimità dal Parlamento e che impegnava il governo a recepire la Carta e a riconoscerne principi fondamentali della vita onlife, la protezione dei dati, il diritto di accesso e perfino “l’uscita della rete” cioè l’oblio e l’anonimato, che non ha mai compiuto il passaggio necessario per diventare legge della Repubblica.