Il buon senso della libertà

Sensibilità ed equilibrio necessari per conciliare i diritti contrapposti di riservatezza, sicurezza e cronaca
Arturo di Corinto
Il sole 24 ore, Nova, pag. 6 del 19 luglio 2007

«Chi è pronto a rinunciare alle proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza». Lo diceva Benjamin Franklin e lo ha ripetuto il presidente dell’Autorità Garante della Privacy, Francesco Pizzetti, che nella sua relazione annuale ha denunciato come alla crescente collaborazione fra sistemi di sicurezza dopo l’11 settembre 2001 non è corrisposta un’accresciuta attenzione verso i diritti dei cittadini.

Il fatto è che nell’era digitale le persone possono esercitare con pienezza diritti fondamentali come quelli di comunicazione, di associazione, di cooperazione, di manifestazione del pensiero e di libera circolazione solo attraverso la protezione delle informazioni che li riguardano. Eppure ancora oggi in Italia, a dieci anni dall’istituzione del Garante per la protezione dei dati personali, il diritto alla privacy è sempre più spesso messo in pericolo dall’abuso di strumenti di sorveglianza, intercettazioni, invasive tecnologie biometriche e di protezione dei diritti intellettuali e dall’ideologica contrapposizione fra privacy e sicurezza.

Un esempio valga per tutti. La proliferazione, “bulimica”, l’ha chiamata Pizzetti, delle telecamere di sorveglianza, non ha impedito agli attentatori della metropolitana di Londra di portare a termine il loro folle piano. Eppure nella capitale britannica sono attive 500 mila telecamere davanti a parcheggi, trasporti ed edifici governativi.

La sintesi fra tutela della privacy e le esigenze di sicurezza personale e dello Stato sta certamente nella vigilanza e affidabilità delle autorità competenti, ma anche in semplici accorgimenti che vanno dalla messa in sicurezza delle banche dati che contengono i dati personali, dei clienti di un’azienda o di una pubblica amministrazione, al loro adeguato trattamento. E vale soprattutto per quelli “sensibili”, relativi cioè agli orientamenti politici, religiosi, sessuali e ai dati genetici e sanitari. Argomento su cui si è spesso soffermato il Garante nelle ultime settimane, denunciando l’assenza di un elenco ufficiale di questi database.

E’ ovvio infatti che se mancano regole chiare e strumenti adeguati di protezione della privacy, i dati raccolti per finalità legittime – fiscali, di giustizia, di sicurezza – possono essere abusati, per usi commerciali, di ricatto, di lotta politica. Come sta accadendo in Italia, una situazione che Pizzetti definisce emergenziale e che rende “meno sicura la sicurezza, meno libera la democrazia”.

E tuttavia può essere lecito valicare la barriera che le leggi pongono a difesa della privacy. Quando?
Quando impedisce il diritto di cronaca. Ma la tensione irrisolvibile fra i due diritti, pure regolata da norme giuridiche e deontologiche, è insufficiente oggi che siti e blog conservano ad infinitum ogni discorso, ogni parola, e i motori di ricerca connessi con database intelligenti possono restituire in un attimo il profilo individuale anche di chi invoca legittimamente diritto all’oblio.
Poi c’è il diritto all’innovazione. E’ fuori di dubbio che le tecnologie di profilazione siano utili all’economia di rete, ma è altrettanto ovvio che non a tutti sia gradito il fatto che il risultato delle proprie ricerche venga incrociato con i dati personali della posta elettronica di Google mail o venduto a terzi e usato per il marketing diretto.
La quadratura del cerchio fra diritti contrapposti non è possibile, ma un surplus di attenzione, sensibilità e rispetto delle regole, quando si tratta dei dati che identificano le persone, ormai precedendole nella loro dimensione pubblica e privata, è necessario.
E non dovrebbe essere fastidioso neppure per le aziende tenute a rispettare gli onerosi adempimenti del Codice per la privacy. Basterebbe cominciare a pensare alla tutela della riservatezza come a uno stimolo per innovare strumenti, procedure e professionalità, ma anche come a un asset da far valere sul mercato verso consumatori ormai molto più attenti ai loro diritti, specie nella vita oltre lo schermo.

    • La nozione di privacy apparve per la prima volta nel 1890, ad opera di S.D. Warren e L.D. Brandeis, che la definirono come il “diritto ad essere lasciato in pace”
    • La protezione dei dati personali è entrata nel sistema italiano sotto la spinta delle lotte operaie, con lo Statuto dei lavoratori del 1970
    • La legge italiana sulla privacy è la 675/96. Istituisce il Garante per la Privacy.
    • La tutela della privacy viene recepita nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il 7 dicembre 2000 a Nizza
    • Il 1 gennaio 2004 entra in vigore il decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, denominato “Codice in materia di protezione dei dati personali”

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