La democrazia del clic

La democrazia del clic
Arturo Di Corinto – da Rio de Janeiro
Il Sole 24 ore – Nova del 22/11/2007

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Internet è una risorsa scarsa. Cinque miliardi di persone non l’hanno mai usata. Molti paesi africani ed equatoriali non dispongono di telefoni e neanche dell’elettricità. Nei paesi in via di sviluppo le infrastrutture di rete sono insufficienti e obsolete perchè la loro posa non è profittevole per le compagnie di telecomunicazioni. La banda larga è un affare di pochi paesi iperconnessi, Usa e Corea in testa, e per tutti gli altri cominciano a scarseggiare i nomi di dominio, cioè gli indirizzi Internet grazie ai quali è possibile accedere a blog personali, siti accademici e commerciali. Non solo, mentre si moltiplicano gli attacchi ai suoi nodi di scambio, attraverso Internet si consumano crimini vecchi e nuovi: contraffazione di marchi e distribuzione illegale di opere creative, assalti informatici, abusi sui minori, censura dell’informazione. E tuttavia poiché “la rete” è diventata un’infrastruttura abilitante a forme di partecipazione democratica e modelli d’impresa prima impensati nessuno vorrebbe rinunciarvi. Ma allora è possibile assicurare un futuro di pace e di progresso senza garantire uno sviluppo sostenibile di Internet? La risposta è no.

Perciò, su mandato delle Nazioni Unite, si sono dati convegno all’Internet Governance Forum 2007 (IGF) di Rio de Janeiro 1300 rappresentanti di 109 paesi per ripensarne regole e funzionamento con l’obiettivo di ampliarne l’utilizzo, la sicurezza e la stabilità.
Discutere dello sviluppo futuro della rete significa discutere sia le questioni relative alla sua funzionalità ed efficienza – le regole tecniche, gli standard, il software, i protocolli, la gestione dei root server – che i suoi effetti sociali, il digital divide, l’economia della conoscenza, la ridistribuzione dei poteri che essa consente. Ma senza una infrastruttura di base funzionante non è neppure possibile parlare di accesso, sicurezza, apertura e diversità nell’utilizzo della rete, caratteristiche che ne hanno fatto un mezzo di comunicazione globale.
Ed essendo uno strumento globale, potenzialmente utilizzabile da chiunque e da ogni dove, che funziona grazie al concorso di diverse realtà che condividono pratiche ed azioni per mantenerla efficiente (l’Icann, l’ITU, l’Isoc, il W3C, l’IETF), anche le regole della sua evoluzione devono essere condivise e aggiornate per i nuovi usi e i nuovi attori che sulla rete si affacciano per fare impresa e società, cultura e governo.
Ed è proprio questo lo spirito con cui se ne è discusso a Rio: il multistakeholderism. Un neologismo che indica la partecipazione multilaterale e paritaria ad un certo processo da parte di coloro che sono portatori di uno stesso interesse. Uno stesso interesse? A Rio le imprese cercavano risultati concreti per garantirsi mercati e profitti, i governi si affrontavano con diplomazia in chiave geopolitica, la società civile, i gruppi per i diritti umani e dei consumatori, il mondo della cooperazione, hanno fatto sentire forte le proprie preoccupazioni per le ripetute violazioni dei diritti e della dignità degli individui, gli esperti di Internet discutevano di standard tecnici, mentre i media volevano capire come e quanto essere alleati della rete che con essi ormai compete come “editore”. Così diversi, come fanno ad avere gli stessi interessi? La risposta a questa domanda sta nel metodo del forum, proprio della Internet delle origini: la ricerca di un rough consensus che faccia funzionare le cose con il consenso di tutti gli stakeholder. E infatti se Internet è un villaggio globale, l’Internet Governance Forum è l’assemblea cittadina dei suoi abitanti che decide senza votare, con la moral suasion. E il vero risultato di questa seconda sessione dell’IGF è stata la rinnovata disponibilità dei suoi attori ad essere tolleranti, aperti e costruttivi pur nella diversità linguistica, culturale e politica di cui ciascuno è portatore nel concorrere a garantire lo sviluppo della rete. Il valore di questo approccio e del meeting stesso sta infatti nel processo bottom- up di una discussione continua basata sulla fiducia reciproca che progressivamente si sta mostrando capace di prefigurare nuove forme di cooperazione multilaterale, nella gestione dello spettro radio, nella lotta al cybercrime, nella distribuzione delle risorse, nella cooperazione allo sviluppo, nella definizione di un Bill of Rights per garantire i diritti umani in Internet e attraverso Internet. Allora è un’altra la domanda da porsi. Poiché i convenuti di Rio, consapevoli dell’interdipendenza reciproca in un mondo globalizzato e connesso, hanno dimostrato di non essere interessati a scontri ideologici ma a risultati pratici da attualizzare nelle scelte quotidiane, l’approccio multistakeholder alle regole per la Governance di Internet è o non è l’embrione di una democrazia globale? Il lavoro della democrazia è lento, lungo, colto e difficile, ma se il confronto, la trasparenza e la diversità sono il sale della democrazia, la risposta può essere un cauto sì.

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