La Repubblica: Abbiamo un Foia, o forse no. “Ecco come possiamo migliorarlo”

la-repubblica-it-logoAbbiamo un Foia, o forse no. “Ecco come possiamo migliorarlo”

Le iniziative di decine di associazioni che si battono contro la curruzione, per la trasparenza e il diritto alle informazioni. Un decalogo, un video satirico e news

di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 14 marzo 2016

IL FREEDOM of information Act-Foia è in dirittura d’arrivo, ma sono in 60 mila quelli che chiedono di migliorarlo attraverso una petizione online e una campagna video che è già diventata virale su Internet. Certo, dalla promessa fatta da Matteo Renzi al suo insediamento di dotare il nostro paese di una legge sulla trasparenza e contro la corruzione, uguale a quella dei paesi avanzati di tempo ne è passato, e non ce n’é più tanto. Il 20 gennaio 2016 Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto sull’accesso ai dati e ai documenti delle pubbliche amministrazioni che dovrebbe incarnare il Foia, all’interno della Legge Madia di Riforma della Pubblica Amministrazione (dlgs 124/2015) e che dovrebbe appunto favorire il controllo diffuso e dal basso dell’operato di politici, amministratori e imprenditori di Stato. Il 12 febbraio è stato finalmente reso pubblico il decreto approvato in via preliminare, ma ha lasciato più delusi che soddisfatti nonostante le rassicurazioni date dallo stesso Ministro Marianna Madia a Repubblica.

La scorsa settimana era previsto che sulla legge si pronunciassero le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato ma così non è stato. Intanto sono arrivari i pareri attesi dal Garante Privacy, dall’Autorità anticorruzione-Anac e da altre commissioni parlamentari (Poste, Bilancio). Pareri attesi ma non vincolanti, da cui si attende un segnale forte all’esecutivo per colmare le lacune del testo che dovrebbe invece garantire in maniera semplice e veloce il diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi come chiedono. Riparte il futuro (comunità digitale apartitica contro la corruzione e per la trasparenza e la certezza del diritto) e Diritto di Sapere (associazione per la difesa e l’espansione del diritto umano di accesso all’informazione). A suggerire una riscrittura del testo è stato addirittura il Consiglio di Stato, mentre le 30 associazioni che da anni si battono per la legge insistono su una serie di punti irrinunciabili per avere un vero Foia e non un “Foia all’amatriciana”.

I nodi da sciogliere. Secondo le associazioni i punti controversi del decreto governativo riguardano la mancata semplificazione e l’assenza di un ridisegno complessivo del diritto di accesso e degli obblighi di trasparenza da parte della Pubblica amministrazione. Per loro la legge manca di individuare un responsabile unico a cui rivolgersi per accedere a dati, atti e informazioni, e presenta delle eccezioni tali e tante che il diritto alla trasparenza non sarà esigibile, ad esempio nel caso in cui la richiesta confligga, secondo i riceventi, con interessi di singoli e aziende, o sia riferibile alla sicurezza nazionale e alla politica economica. L’ampio spazio lasciato alla discrezionalità delle amministrazioni interpellate è poi l’elemento che ha suscitato più proteste. Intanto tale discrezionalità è basata su un meccanismo di silenzio-diniego perché se la risposta alla richiesta di accesso agli atti non arriva in trenta giorni secondo il decreto va considerata come respinta e non prevede alcun obbligo per l’amministrazione competente di giustificarsi e motivare il rigetto. Una scelta che si rimangia l’elemento positivo e innovativo della legge che pure al contrario della vecchia legge 241/90 (legge Bassanini) consente di chiedere l’accesso senza obbligo di motivarlo e indipendentemente da un interesse diretto.

Un meccanismo perverso insomma che, prevede il decreto, potrà essere sfidato solo con un ricorso al Tar con una spesa insostenibile per molti cittadini, l’obbligo di una consulenza legale e tempi “tutt’altro che rapidi e certi”. Tutto il contrario della proposta  di Foia4Italy che aveva suggerito in tempi non sospetti la via extragiudiziale, coinvolgendo l’Anac (L’Autorità nazionale anticorruzione). Addirittura, sempre parlando di soldi, mentre la loro richiesta era di recuperare il meccanismo della “legge Bassanini” che prevedeva  la completa gratuità dell’accesso, fatte salve le spese di riproduzione e invio dei documenti, il provvedimento non è chiaro neanche su questo.

Dieci punti irrinunciabili. Perciò Riparte il Futuro spiega cosa serve per un vero foia: 1) diritto di accesso per chiunque, senza obbligo di motivazione; 2) accesso per tutti i documenti, gli atti, le informazioni e i dati, formati, detenuti o comunque in possesso di un soggetto pubblico; 3) estensione dell’obbligo di trasparenza alle società partecipate e ai gestori di servizi pubblici; 4) risposte in 30 gg; 5) eccezioni chiare e tassative; 6) accesso gratuito ai documenti digitali; 7) pagamento solo per la riproduzione dei documenti cartacei; 8) pubblicazione sul web se oggeto di tre distinte richieste di accesso; 9) rimedi giudiziari e stragiudiziali veloci e non onerosi; 10) sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato.

Il video di denuncia. A fronte di queste aspirazioni Riparte il futuro ha deciso di continuare il pressing su governo e parlamento usando la chiave dell’ironia. Nel video satirico del regista Marco Ferrari un simpatico personaggio (Gianmarco Pozzoli) illustra le mirabolanti caratteristiche della “legge del futuro”, il Foia. Un cittadino comune (Enrico Ballardini), scelto per essere il primo a richiedere il libero accesso ai dati della Pa in base al nuovo decreto non riesce a ottenere le risposte che cerca perché il Freedom of Information Act, incarnato da un funzionario-robot (Alice Mangione) va in tilt in un crescendo tragicomico. “Il messaggio” dicono autori e sostenitori è che “siamo ancora in tempo per aggiustare la legge e dotare il Paese di un Freedom of Information Act serio e utile”.

“Riparte il futuro” sceglie l’ironia per avere un Foia migliore

Per Federico Anghelé, dell’associazione Riparte il futuro, “il Freedom of Information Act non può essere solo un’etichetta senza sostanza ma deve invece essere uno strumento fondamentale per prevenire la corruzione rendendo trasparente la Pa”, mentre secondo Guido Romeo dell’associazione Diritto di sapere “c’è ancora uno stretto margine per migliorare e spero che Camera e Senato diano indicazioni al governo in questo senso. Questa legge non solo non può chiamarsi un Freedom of information Act, ma rischia di peggiorare ancora la scarsa trasparenza che c’è in Italia togliendo diritti ai cittadini e mettendo in difficoltà le amministrazioni che invece vogliono essere virtuose”.

In Spagna la legge equivalente, Derecho de Saber è naufragata proprio perché le modalità di presentazione delle istanze erano state rese particolarmente complesse. Ma oggi che tutta la nostra vita è trasparente e digitale, almeno verso l’amministrazione, ogni resistenza dall’altra parte appare anacronistica e punitiva. In tempo di open data, reti ubique, siti web e competenze digitali, non c’è motivo di frenare l’apporto al benessere collettivo che viene da un uso efficiente delle risorse pubbliche, una tesi  sposata perfino da David Cameron e Barack Obama che da tempo hanno al loro fianco dei superconsulenti per farlo (Micah L. Sifry, Oltre Wikileaks, il futuro del movimento per la trasparenza, 2011, Egea).

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