I paladini dei diritti digitali sono sotto attacco. Ad ogni latitudine. Mentre aumentano i casi di persecuzione giudiziaria nei confronti di difensori della privacy e ricercatori di cybersecurity, decine di ONG, attivisti, accademici ed esperti lanciano l’allarme. È lunga la lista delle minacce e degli attacchi di questi ultimi mesi, sia a livello giudiziario che informatico. Adesso le associazioni dicono basta ai lunghi processi nei confronti di Ola Bini in Ecuador, alle indagini e alle misure arbitrarie adottate contro Javier Smaldone in Argentina, a casi come quello di Alaa Abd El-Fattah in Egitto, Ahmed Mansoor negli Emirati Arabi Uniti e di molti altri attivisti digitali, che sono pericolosamente in crescita. Senza contare casi famosi come quelli dei whistleblower Julian Assange, Chelsea Manning, Edward Snowden e Jeremy Hammond che hanno già pagato a caro prezzo le loro denunce. Gli stessi relatori speciali sul diritto alla libertà di opinione e di espressione dell’organizzazione degli Stati americani e delle Nazioni Unite, tra i quali David Kaye, hanno manifestato preoccupazione per la detenzione e il perseguimento di difensori dei diritti digitali fino al caso più recente, quello di Ola Bini.
Chi sono gli attivisti perseguitati
Ola Bini
Ola Bini, considerato vicino ad Assange, è stato arrestato lo stesso giorno in cui il fondatore di WikiLeaks ha perduto lo status di rifugiato politico concessogli dall’Ecuador, e non ha ancora avuto un processo. Prima accusato di evasione fiscale, poi di intrusione informatica non autorizzata, ma senza prove, l’udienza, fissata per il 17 febbraio 2020 è slittata al 7 marzo perché, spiega a Repubblica il suo avvocato, Carlos Soria, “il tribunale dice di aver perso il fascicolo che lo riguarda”. Ma la sua vera colpa secondo Amnesty International è di essere un difensore dei diritti umani impegnato a tutelare la privacy dei cittadini.
Javier Smaldone
Javier Smaldone, specialista di sicurezza informatica e portavoce della campagna #NoAlVotoElectrónico è stato indagato per un dataleak relativo alle forze di sicurezza argentine nell’agosto 2019, caso legato a uno precedente del 2017, frutto di “phishing” e noto come “La Gorra Leaks 2.0”. Smaldone è indicato come uno dei “possibili responsabili” della fuga di dati. Sospettato in quanto esperto di cybersecurity ma anche per essersi espresso criticamente sulla vicenda sui social, è stato sottoposto a geolocalizzazione dai suoi fornitori di telefonia, intercettato, spiato da telecamere di sorveglianza piazzate intorno a casa, e ha subito il sequestro dei suoi dispositivi personali e strumenti di lavoro. Non esistono prove a suo carico.
Alaa Abd El-Fattah
Anche il blogger egiziano Alaa Abd El-Fattah, icona della primavera araba del 2011, arrestato, torturato e rilasciato solo dopo cinque anni, è di nuovo sparito. Sarebbe in mano ai servizi segreti egiziani dal 29 settembre con l’accusa di diffondere fake news. Trasferito nel carcere egiziano di massima sicurezza Tora 2, lo avrebbero stato bendato, denudato, picchiato e preso a calci ripetutamente e sottoposto a minacce e abusi verbali.
Ahmed Mansoor
Stessa sorte per Ahmed Mansoor, arbitrariamente detenuto nella prigione di Al Sadir per aver osato twittare contro la violazione dei diritti umani del governo degli Emirati Arabi Uniti. Membro del comitato consultivo di Human Rights Watch, arrestato il 20 marzo 2017 è ancora detenuto senza poter parlare con i suoi avvocati.
Perché l’attacco ai difensori della privacy
Il lavoro svolto da questi difensori dei diritti digitali in difesa della privacy e della libertà d’informazione è fondamentale per la protezione dei diritti umani. Il motivo è facile da capire: oggi le informazioni viaggiano in digitale da un capo all’altro del mondo e la sicurezza di dati e informazioni dipende sia dai sistemi informatici che li trattano sia dagli attivisti che sensibilizzano le persone sull’esistenza di vulnerabilità nei sistemi. Azione socialmente utile: quelli che denunciano app, siti e social insicuri consentono sia ai governi che alle imprese private di trovare soluzioni che migliorano la sicurezza delle infrastrutture e del software a beneficio di tutti. Per questo la Electronic Frontier Foundation, Access Now, APC, Human Rights Watch, e altre trenta organizzazioni, in una dichiarazione congiunta nel dicembre scorso all’Internet Governance Forum di Berlino a Berlino hanno voluto rimarcare che il lavoro dei consulenti per la sicurezza di giornalisti, come quello dei programmatori e degli attivisti digitali va considerato di vitale importanza anche per la sicurezza dei giornalisti e degli altri difensori dei diritti umani. Hanno chiesto ufficialmente il riconoscimento del loro lavoro a livello legale, sociale e politico: “I difensori dei diritti digitali dovrebbero anche essere riconosciuti come difensori dei diritti umani. Il loro lavoro e i loro diritti devono essere protetti per garantire lo sviluppo sicuro, trasparente, democratico e sicuro di Internet e delle tecnologie digitali ovunque nel mondo”. Senza il timore di molestie giudiziarie o qualsiasi forma di danno proveniente da stati o governi. E ancora: “Il lavoro dei difensori dei diritti digitali è un esercizio legittimo del diritto alla libertà di espressione e, come tale, deve essere protetto. Respingiamo insieme qualsiasi persecuzione dei difensori dei diritti digitali”.
Assange, ammalato e in procinto di essere estradato in America non può che essere d’accordo. Massimo Moratti, vicedirettore di Amnesty International per l’Europa aveva dichiarato che “Le autorità britanniche devono tenere in considerazione il rischio concreto che Assange, una volta estradato, possa subire gravi violazioni dei suoi diritti umani e rispettare l’impegno già assunto di non trasferire Assange in un paese dove potrebbe essere sottoposto a maltrattamenti e torture”.