Chefuturo! Julian Assange: storia di un’accusa di stupro e della guerra (sporca) alla trasparenza

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Julian Assange: storia di un’accusa di stupro e della guerra (sporca) alla trasparenza

Dopo 1400 giorni di confino forzato, la Svezia accetta di interrogare il fondatore di Wikileaks sulle accuse di due donne che l’hanno denunciato

Arturo Di Corinto per Chefuturo del 26 giugno 2016

Il 25 giugno 2016 si è conclusa la settimana mondiale di mobilitazione in favore di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks recluso nell’ambasciata Ecuadoriana a Londra dal 19 giugno del 2012. Sono passati quattro anni da quando fu costretto a rifugiarsi volontariamente in 20 metri quadrati per non essere estradato in Svezia e poi negli Stati Uniti dove potrebbe essere condannato a morte.

Il motivo dei suoi guai giudiziari, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, non sono però le rivelazioni di WikiLeaks sulla guerra sporca in Iraq e Afghanistan e la diffusione di 250mila cablogrammi che hanno più che imbarazzato la diplomazia americana. Il motivo è un’accusa di stupro. O meglio, un’accusa di rapporti sessuali consenzienti non protetti, e che in Svezia equivale allo stupro. Un’accusa mai provata e che Assange ha sempre negato, chiedendo di essere interrogato per fornire la sua versione dei fatti. Cosa che gli è stata concessa proprio il 20 giugno 2016, all’inizio del suo quinto anno di prigionia, con una nota delle autorità svedesi che hanno chiesto di interrogarlo nella sede diplomatica ecuadoriana.

Uno stupro, anzi due

I fatti che sono costati il mandato d’arresto per Assange sono accaduti nell’arco di una settimana, tra il 13 e il 20 agosto 2010. La vicenda, ricostruita subito dal Guardian e poi dalla CNN, è stata ripresa così da Lettera 43: “Il fondatore di WikiLeaks era ospite di una ammiratrice, indicata nei verbali come Miss A. I due avevano flirtato e lui a un certo punto le avrebbe sfilato il vestito e rotto la collana che portava addosso. Lei «non avrebbe voluto spingersi oltre», ha riferito Miss A alla polizia. Ma Assange andava avanti «troppo velocemente». Al punto, ha dichiarato poi lei, che era «troppo tardi» per fermarlo. Non aveva un preservativo e quando lei gli aveva chiesto di usarlo, l’attivista le aveva impedito di muoversi. Per Miss A è stato «il più orribile rapporto sessuale» della sua vita, «il peggiore al mondo» e «violento». Tuttavia ha continuato a ospitarlo a casa senza più andarci a letto”.

Assange, però, aveva allacciato un’altra relazione con Miss W. I due avevano avuto diversi rapporti sessuali protetti, nonostante lui avesse sempre usato il preservativo controvoglia. Secondo il racconto della donna una mattina, mentre lei era addormentata, lui aveva cominciato un rapporto senza condom. Lei si era svegliata e gli aveva chiesto spiegazioni. Stessa conclusione: in farmacia per chiedere la pillola del giorno dopo e la richiesta di fare una analisi per le malattie veneree. Assange si era rifiutato perchè impegnato.
“Miss A e Miss W avevano continuato a fare pressioni per il test, minacciando di andare dalla polizia. Assange, tuttavia, aveva accettato solo la sera del 20 agosto 2010: era venerdì e i laboratori di analisi erano chiusi. E Miss A e Miss W avevano presentato denuncia”. Dopo essersi parlate. Da qui comincia una serie di accuse, ripensamenti e dubbi.

L’avvocato di Assange riesce a portare al procuratore di Stoccolma una serie di messaggi SMS tra Julian e le querelanti da cui si evince che i rapporti che prima erano buoni si erano trasformati in un complesso gioco di vendette e di gelosie e che mentre una delle due donne aveva ridimensionato le accuse con dei messaggi su Twitter, l’altra voleva dei soldi per tacere l’accaduto e per questo aveva minacciato di andare a raccontare la sua storia al giornale Expressen.

Nessuno sa ancora come stanno veramente le cose, fatto sta che inizialmente il procuratore di Stoccolma aveva rigettato la richiesta di perseguire Assange. Adesso l’interrogatorio potrà far emergere fatti nuovi e forse fornire lumi su una frase che l’accusato ripeteva dal primo giorno di accuse: “Eravamo stati avvisati di aspettarci qualche sporco trucco. Questo è il primo”. E poi aveva scritto in un tweet: “Reminder: i servizi segreti Usa pianificano di distruggere WikiLeaks dal 2008”.

Il fondatore di Wikileaks, «Robin Hood degli hacker»: un nemico dello Stato

Le rivelazioni del sito anti-corruzione e pro-trasparenza Wikileaks hanno prodotto il più grande scandalo della sicurezza e della diplomazia americane, pari forse soltanto alle rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza di massa della National Security Agency.
Nei faldoni del Cablegate ci sono tutti i rapporti confidenziali sulle relazioni internazionali degli Stati Uniti, perfino le opinioni personali degli ambasciatori a Roma durante il governo Berlusconi.
Leak dopo leak, i file sono stati diffusi in tutto il mondo attraverso la grande stampa: l’americano New York Times, il britannico Guardian, il tedesco Der Spiegel, l’italianissimo L’Espresso.

Ma Assange non è stato trattato come un eroe per aver denunciato i crimini di guerra americani o le procedure di detenzione a Guantanamo. È considerato una spia che ha messo in pericolo la sicurezza nazionale Usa. Per questo lo vogliono morto. Da sei lunghi anni.

La sua abilità coi computer e nei travestimenti, la rete di amicizie e di solidarietà dal basso che ha avuto, gli hanno consentito di essere uccel di bosco fino al 2012 quando si è rinchiuso nell’ambasciata ecuadoriana. Nel 2010 andava al Ted a spiegare perché il mondo ha bisogno di Wikileaks e a mostrare Collateral Murder, un video agghiacciante sull’uccisione di due reporters dell’agenzia Reuters e di diversi civili iracheni scambiati per terroristi mentre cercavano di mettere in salvo loro stessi e due bambini su un furgoncino, presi di mira e bersagliati da un elicottero Apache americano.

 

Ricercato da tutte le polizie europee

Però senza una specifica incriminazione lui, cittadino australiano sul suolo europeo, non poteva essere estradato e punito per quello che aveva fatto, dire che la guerra è sempre sporca. Non poteva essere punito a meno che non diventasse un ricercato dall’Interpol, cosa che è diventato il 21 agosto del 2010, poco dopo la diffusione degli ultimi materiali documentali. Dopo la denuncia delle due donne.

Nel frattempo Julian Assange ha ricevuto la solidarietà di molti esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo come Noam Chomsky, Ken Loach, Roberto Saviano, Vivienne Westwood e molti altri, ma anche di una forza politica, i Cinquestelle che, nel novembre 2013, sono andati a fargli visita in delegazione, capitanati dal parlamentare Alessandro Di Battista. Un artista italiano, Davide Dormino, dopo averlo incontrato a Londra gli ha dedicato una statua a grandezza naturale dove Assange compare in piedi su di una sedia con altri due famosi whistleblower: Edward Snowden e Chelsea Maning. La statua, intitolata “Anything to say?” ha fatto il giro del mondo ed è stata in mostra a Perugia durante il Festival internazionale di giornalismo organizzato tra gli altri da Arianna Ciccone di Valigia Blu.

Due mesi fa una commissione speciale delle Nazioni Unite (Unwgad) ha diffuso un dossier dove si denuncia la detenzione arbitraria di Assange, che è guardato a vista dalla polizia inglese che da quattro anni staziona in forze intorno all’ambasciata. Adesso le cose potrebbero cambiare: il ministro degli esteri ecuadoriano è disponibile a far interrogare Assange dentro l’ambasciata, a patto che siano date adeguate garanzie legali al rifugiato politico Julian Assange da parte degli inglesi che potrebbero metterlo sotto processo per aver evitato l’arresto. In questo scenario, ma non si sa come, la Brexit potrebbe cambiare gli orientamenti del ministro degli esteri inglese, Hugo Swire, protagonista finora del braccio di ferro per conto degli Stati Uniti: anche lui decadrà quando Cameron ufficializzerà le dimissioni come capo di un governo che ha cercato e ottenuto la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

ARTURO DI CORINTO

Roma, 26 giugno 2016

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