Cybersecurity: Gli hacker russi attaccano la rete elettrica americana (ma è una bufala di cui i giornali italiani non si accorgono)

Gli hacker russi attaccano la rete elettrica americana (ma è una bufala di cui i giornali italiani non si accorgono)

Quando una notizia falsa può causare una cyberguerra e nessuno la corregge perché è impegnato a discutere delle fake news su Facebook e co.

Arturo Di Corinto per Cybersecurity del 4 gennaio 2017

Gli hacker russi attaccano la rete elettrica americana, ma è una fake news. A poche ore dall’articolo del Washington Post che parla dell’attacco – citando fonti interne di una compagnia elettrica locale situata a Burlington, nel Vermont -, la rete si popola di articoli che raccontano dettagliatamente che “Hacker russi sono penetrati in una rete elettrica del Vermont.”, e che “La scoperta è stata possibile grazie alla condivisione, da parte delle autorità federali con le utility nazionali, dei codici associati alle operazioni degli hacker russi, in questo caso ‘Grizzly Steppe’.”

L’hackeraggio russo visto dall’Italia

Il fatto in Italia viene riportato dai maggiori quotidiani quasi esattamente con le stesse parole con cui l’Ansa (Agenzia Nazionale Stampa Associata) aveva fatto il suo lancio, dove però era correttamente riportato: “Lo scrive il Washington Post citando dirigenti americani sotto anonimato, che precisano di non conoscere le intenzioni dei pirati informatici.”

Sia La Repubblica che Il Corriere della Sera, tanto per citare i quotidiani italiani più accurati, usano per intero anche quello che sembra più un commento della redazione dell’Ansa che un fatto e lo usano come catenaccio (Corriere) “L’intrusione ha il sapore di uno sberleffo dopo le sanzioni americane, a dimostrazione che gli hacker russi continuano la loro azione di disturbo incuranti delle conseguenze.”

[Ecco una minigallery degli-articoli che parlano dell’hackeraggio]

Come funzionano i giornali

Niente di straordinario, quindi, è normale che anche le grandi testate facciano un copia-incolla delle notizie dell’Ansa che ha proprio questo ruolo, dare le notizie grezze che poi le redazioni approfondiscono e sviluppano.

Solo che la notizia è falsa. Gli hacker non hanno penetrato la rete, ma si è scoperto che un singolo computer laptop, disconnesso dalla rete, era stato infettato da un malware simile a quello usato in altri attacchi informatici attribuiti ad hacker russi.

Così succede che a qualche ora di distanza dalla pubblicazione dell’articolo il Washington Post corregge il tiro e in testa all’articolo dice di aver dato una notizia sbagliata. E si corregge dandogli ampia evidenza, anche se verrà criticato per non aver fatto le necessarie verifiche.

Il Washington Post scrive testualmente questa nota editoriale: “Editor’s Note: An earlier version of this story incorrectly said that Russian hackers had penetrated the U.S. electric grid. Authorities say there is no indication of that so far. The computer at Burlington Electric that was hacked was not attached to the grid.

Quanti danni può fare una bufala?

Anche qui, niente di grave, si dirà, anzi, è la dimostrazione che il sistema è in grado di autocorreggersi. In fondo tutti possiamo sbagliare in questo corsa allo scoop. E in un momento in cui si parla tanto di post-truth, post-verità, bufale virali e notizie false, diventa importante saperlo.
Il punto è che, al contrario del Post, nessun altro giornale in Italia l’ha fatto (e pochi nel mondo), lasciando in bella vista una notizia che in base a un ordine esecutivo di Obama del 1 aprile del 2015 potrebbe scatenare una cyberguerra vera e propria. Una rappresaglia informatica con conseguenze inimmaginabili per la natura del conflitto che usa armi digitali, che si autoreplicano, possono costare poco e possono essere usate anche da ragazzini al contrario delle armi nucleari. Codici malevoli, cyberweapons e metodi di attacco che però, come le armi nucleari, possono causare molti morti: pensate all’improvvisa interruzione della corrente elettrica in una capitale europea con ascensori che si bloccano, operazioni chirurgiche che si interrompono, semafori che si spengono, torri di controllo aereo che smettono di funzionare. Paura, eh? Beh, è già successo nel 2015 in Ucraina.

Ecco che allora torniamo alle fake news, alle bufale appunto, quelle di cui sarebbe (ed è pieno) il web che anche le più alte cariche della Repubblica come Boldrini, Mattarella, Pitruzzella, vorrebbero ripulire con iniziative fantasiose (e un po’ censorie), e che progressisti come Enrico Mentana pensano di combattere vietando l’anonimato.

Le fake news dei giornali e quelle degli altri

La domanda da farsi allora è più d’una: le fake news create ad arte in un gruppo facebook o da un blogger fanno più o meno danni delle bufale contrabbandate dai media professionali? Che fine fanno quegli errori tanto marchiani che per dinamica di network ed effetto sull’opinione pubblica acquisiscono lo status di bufala? E cosa fanno i nostri giornali posti di fronte alle doverose ma spesso poche e striminzite smentite, necessarie se non a tamponarne gli effetti ma almeno ad educare il pubblico alla post-verità? Ma sopratutto a cosa sono dovute quelle bufale? Alla disattenzione di un lavoratore stanco (sì, noi giornalisti siamo umani), agli stagisti che lavorano al posto dei professionisti? Ai professionisti prepensionati e poi rientrati come consulenti in redazione o a quelli che non conoscono Internet e il digitale?

Su tutto questo non c’è ancora dibattito pubblico al di fuori della cerchia degli esperti e dei diretti interessati.

Perciò io sommessamente suggerirei di andarci piano con questa storia delle fake news sul web che in questi giorni popola i giornali. Anche nel caso dell’”attacco” del Vermont sarebbe difficile dimostrare la totale buona fede dei giornalisti del Post, affidarsi ciecamente alla loro professionalità ed eliminare ogni dubbio che il falso scoop non fosse stato pilotato. Le fake news possono contagiare anche i più preparati, figuriamoci quelli che lo sono meno.

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