Dall’Icann alla comunità mondiale, la supervisione della rete sarà globale
L’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers ha consegnato nelle mani del governo americano il progetto che decentralizza alcune funzioni cruciali per il funzionamento della rete
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 10 marzo 2016
“OGGI abbiamo concretizzato l’opportunità di fare dell’Icann un’autorità indipendente e internazionale, per governare direttamente le nostre risorse”. Con queste parole del presidente uscente di Icann, Fadi Chehade, pronunciate in conferenza stampa, si è chiuso il 55esimo meeting di Icann in Marocco, un vertice che ha avviato la fine della supervisione Usa sul funzionamento di Internet come avevamo preannunciato ieri. Oggi è stata infatti consegnata nella sua formulazione finale la proposta di trasferimento alla comunità Internet mondiale delle funzioni Icann controllate dalla National Communication Administration americana. Un passaggio di consegne noto come “Transizione Iana” proprio perché si riferisce alla cessione del controllo delle funzioni relative alla gestione delle risorse in rete e al loro corretto indirizzamento. L’ha fatto uno dei padri fondatori di Internet, il presidente del board di Icann Stephen D. Crocker, consegnando il progetto nelle mani del governo americano. Entra quindi nella fase cruciale un processo cominciato nel 1998. La proposta, quando verrà approvata diventerà, diventerà operativa dal 30 settembre 2016, sancendo di fatto la fine della supervisione Usa sul funzionamento di Internet.
Perché è importante questo passaggio. Quando i ribelli houti in guerra col governo dello Yemen hanno preso possesso di alcuni palazzi governativi si sono impossessati anche della macchina che garantisce l’indirizzamento ai siti internet di quel paese. Prima che potessero manipolare il corretto accesso verso i siti nazionali il presidente yemenita ha scritto all’Icann chiedendo di associare il country code .ye (il nome di dominio del paese) a un’altra macchina fisica e dopo l’ok degli Usa l’Icann l’ha fatto. Ma che c’entra l’Icann? Perché Icann fa il suo lavoro proprio associando il country code dello Yemen a una specifica macchina che si chiama .ye. E lo fa per ogni risorsa di rete a cui vogliamo collegarci su Internet. Per visitare un sito web bisogna infatti scrivere un indirizzo – sotto forma di lettere o numeri, nella barra degli indirizzi del proprio browser. E perché il nostro computer ci porti a destinazione l’indirizzo digitato deve identificare in maniera univoca una e una sola risorsa della rete. L’Icann (acronimo per Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ha il compito di gestire e coordinare questi “identificatori unici” in tutto il mondo, come un enorme elenco telefonico.
Ed è per questo che in un mondo interconnesso se qualcuno dovesse prendere il controllo del database dell’Icann, controllerebbe il web e potrebbe indirizzare le nostre navigazioni verso qualunque indirizzo, un sito pedopornografico, pieno di malware o attrezzato per il phishing (la pesca dei nostri dati personali). Tra i compiti dell’Icann ci sono l’allocazione degli spazi per gli indirizzi IP; la gestione del sistema dei domini di primo livello (TLD, Top level domain), generici (gTDL), regionali e nazionali (ccTDL). Ma anche quella dei root nameserver (necessari per reindirizzare le richieste relative a ciascun dominio di primo livello).
Questi servizi un tempo erano garantiti dal Governo degli Stati Uniti tramite il Ministero per il Commercio e dopo un processo di devolution, dagli esperti dell’Icann stesso diventato un ente non profit, ma su cui gli Stati Uniti hanno continuato a mantenere una forte influenza. Ma oggi in Marocco sono state poste le basi affinché tutto cambi per far cessare il rapporto di controllo e supervisione che il governo americano aveva sull’Icann. Un momento epocale frutto di due anni di negoziazioni per trasferire questo controllo alla comunità Internet globale che sarà sempre rappresentata nell’Icann con tutte le sue componenti: governi, società civile, imprese, organizzazioni.
Una questione politica, non una questione tecnica. Si tratta di una svolta epocale perché quello della gestione degli indirizzi Internet può sembrare una questione tecnica ma non lo è. Si è detto spesso detto che la rete è anarchica, multicentrica e incontrollabile come spazio libero d’espressione ma è vero fino a un certo punto. La rete funziona su un protocollo di comunicazione aperto, il famoso internet protocol (TCP/IP) che riesce a far dialogare tutti i computer connessi in rete, ma questo dialogo dipende dall’individuazione del computer con cui si vuole comunicare. Perché si trovi il pc con cui parlare bisogna attribuirgli un indirizzo numerico e trasformarlo da una sequenza di numeri in un nome, come repubblica.it. ci vuole l’Icann, che da entità privata e dipendente dal dipartimento del commercio americano, poi diventata non profit oggi si apre al mondo. Quindi l’Icann, conclusa questa fase in cui cessa l’ingombrante supervisione Usa delle sue funzioni di base ha accettato la sfida del cambiamento e si prepara alle fasi successive, relative la prima all’accettazione della proposta da parte del Governo Usa, la seconda all’implementazione vera e propria di questa governance condivisa.
Come spiega a Repubblica.it Domenico Laforenza, responsabile del registro.it (l’ente italiano responsabile degli indirizzi “.it” del nostro paese) e direttore al Cnr di Pisa: “È un importante risultato tecnico-politico perché offre la certezza dell'”accountability” di Icann durante la transizione. E cioè il fatto che Icann, attraverso la sua nuova costituenda struttura, deve continuare a rendere conto delle proprie decisioni ed essere responsabile per i risultati conseguiti e ciò presume l’esistenza di opportuni meccanismi condivisi, di pesi e contrappesi, atti a far si che non vengano prese decisioni che avvantaggino paesi o comunità socio-economiche a scapito di altre anche dopo che il controllo degli Usa terminerà”.
Una “liberazione” per chi continua a ritenere che siano stati gli Usa a concedere il via libera ad Etilasat (compagnia di telecomunicazione degli emirati arabi) per spegnere la rete egiziana in occasione della primavera araba, pur senza mostrarne le prove. Come è sempre a loro che è stata attribuita la momentanea scomparsa del dominio “. ly” per rappresaglia diplomatica legata all’attentato di Lockerbie, quando la Libia è stata esclusa dalla rete Internet per cinque giorni nel 2010. Altra ipotesi di cui è difficile trovare conferme.
Però un messaggio di errore come ‘page not found’ è proprio quello che leggeremmo se Icann decidesse di “oscurare” un indirizzo come quello libico tagliando fuori un’intera area geografica dall’utilizzo della rete. Qualcosa che in linea teorica Icann ufficialmente non farebbe mai, contravviene alle sue policy, e che nessun governo si auspica per le ripercussioni che possono esserci, ma una possibilità talmente tanto concreta che il pressing congiunto dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) ha ottenuto dopo 10 anni la devoluzione proprio delle funzioni tecniche relative a questa possibilità.
Secondo Alessandro Berni di Internet Society Italia “A Marrakech si è raggiunta una sintesi condivisa dei passi necessari a mantenere l’apertura, la sicurezza e la stabilità del sistema. È un momento storico nel percorso di privatizzazione del DNS iniziato nel 1998. Ora comincia la parte più difficile: come assicurare,
in pratica, l’integrità della rete di fronte ai rischi di frammentazione riassunti nell’ultimo World Economic Forum, e cioè il protezionismo digitale, i ritardi tecnologici, e le strategie per proiettare la autorità nazionali nel dominio del ciberspazio.”