La Repubblica

WhatsApp, la battaglia per l’interoperabilità si sposta a Bruxelles

“Ti ho mandato un messaggio su WhatsApp, perché non mi hai risposto?”, cui di solito segue un “Scusami non l’ho visto”. Succede tantissime volte, ma per rimediare basta dedicare qualche minuto a rispondere. Il problema nasce però quando, invece di usare WhatsApp, si sceglie un’altra app per le conversazioni gratuite. Che succede in questo caso? Se si vuole comunicare con chi usa Whatsapp si deve per forza installare Whatsapp e accettare di ricevere il servizio di comunicazione da Whatsapp alle condizioni che vengono imposte da WhatsApp, compresa la gestione dei dati. Come chiede WhatsApp.

Se si vuole si può anche usare un’app alternativa, quasi uguale, a parte i colori dell’interfaccia e un paio di funzioni: si possono usare Telegram, Signal o Confide. Tuttavia, se la persona con cui si vuole comunicare non usa Telegram, Signal o Confide, ma Whatsapp, quelle app alternative saranno totalmente inutili. Se poi gli amici sono sparpagliati su più servizi di messaggistica, si dovrà per forza installare tutte le app in parallelo, trovandosi il telefono (o il desktop del computer) intasato di app simili, con la batteria che si scarica in fretta. E con l’ulteriore fatica di dover andare a rileggere le singole chat su singole app diverse.

Tutto questo è scomodo e inefficiente. Perciò una quarantina di aziende europee ha scritto a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, per chiedere che anche i servizi di messaggistica diventino interoperabili come (quasi) tutto ciò che viaggia su Internet. Non hanno tutti i torti: il solo motivo per cui le chat funzionano così è che chi ha costruito una posizione dominante con miliardi di utilizzatori (oltre 3, quelli di WhatsApp) non vuole correre il rischio che possano passare troppo facilmente a un’altra app o a un altro fornitore.

Questo, però, è un problema, dicono le imprese europee, non solo per i consumatori, che si trovano a dover accettare per forza le app dominanti, ma “per l’industria, che non può competere con le app dominanti” semplicemente perché, anche se inventasse un meraviglioso nuovo sistema di messaggistica, sarebbe molto complicato convincere le persone a provarlo, rischiando di perdere tutti i loro contatti e le conversazioni precedenti.

Una situazione che si traduce per l’Europa in meno posti di lavoro, meno entrate fiscali, e dipendenza da soluzioni di aziende straniere.

La mobilitazione delle aziende europee
Le imprese europee riunite sul sito https://interoperability.news/ lo hanno ribadito nero su bianco in una lettera che sta creando scompiglio nei gruppi parlamentari, travolti da un’ondata frenetica di consultazioni per capire quale posizione prendere senza indispettire troppo Facebook, gli Stati Uniti e gli altri giganti del tech dopo la decisione sulla Web Tax presa al G7.

Secondo la coalizione ci sarebbe una soluzione abbastanza semplice alla mancata interoperabilità di queste app che dominano il mercato: una è il Digital Markets Act, norma europea che ha l’obiettivo di ripristinare la concorrenza in questo tipo di servizi. Nella bozza proposta dalla Commissione europea c’è un obbligo di interoperabilità, ma è molto limitato, prevede soltanto che le piattaforme dominanti permettano l’uso di sistemi di pagamento o di identificazione alternativi e poco altro.

Perciò le industrie europee che offrono i più noti servizi alternativi alle piattaforme dominanti, e che sono open source, orientate alla privacy e rispettose del Gdpr, insieme alle associazioni per i diritti digitali Edri ed Eff, e di protezione dei consumatori come Beuc, hanno chiesto di rendere questo obbligo più incisivo.

Con la loro lettera al Parlamento europeo, queste aziende hanno chiesto che le piattaforme dominanti siano obbligate a garantire l’interoperabilità in tutti i servizi essenziali, a partire dalle chat e dai social media, tramite l’uso di standard e interfacce aperte. In questo modo, qualsiasi azienda europea potrebbe fornire un servizio o una app alternativa e i cittadini europei potrebbero finalmente scegliere quelli che preferiscono. O addirittura svilupparsi i propri. Potrebbero nascere nuove interfacce e nuovi modi di usare questi servizi, con più scelta per gli utenti finali.

La richiesta ha raccolto l’adesione di molti, comprese associazioni di categoria, autorità per la concorrenza e alcuni dei gruppi del Parlamento europeo. La discussione è in corso in vari Paesi, e sarebbe bello che anche l’Italia diventasse protagonista nella definizione di regole che influenzeranno pesantemente la rete nei prossimi decenni, spingendola in una direzione di maggiore libertà e di maggiori opportunità per tutti: “L’industria open source europea punta sull’interoperabilità per offrire più libertà di scelta e più privacy rispetto ai prodotti americani. Speriamo che anche il governo italiano e i nostri parlamentari europei possano prendere posizione a favore di questa richiesta”, ci ha detto Vittorio Bertola, torinese, head of policy & innovation di una delle aziende firmatarie della lettera, Open-Xchange, e consigliere di Internet Society Italia. la decisione

Ripensare l’ecosistema del Web
Lo scenario che fa da sfondo a questa inedita mobilitazione è quello per cui negli ultimi 10 anni molti servizi su Internet hanno subìto una forte concentrazione nelle mani di poche grandi aziende, quasi tutte americane, che controllano meccanismi vitali per il funzionamento dell’economia, dell’informazione e della società.

Sempre Bertola ci ha ricordato che “in origine, i servizi Internet erano distribuiti e decentrati, basati su standard aperti e su un grande numero di offerte in competizione. L’esempio più semplice è la mail: qualsiasi utilizzatore della Rete può ottenere un indirizzo da un fornitore liberamente scelto, usarlo con il dispositivo o l’applicazione che vuole, e comunicare senza problemi con qualsiasi utente di qualsiasi altro fornitore di servizio in tutto il mondo. Tutti i servizi di email del mondo sono in grado di interoperare tra loro. Non si capisce perché non dovrebbero esserlo i social media e i servizi di messaggistica istantanea”. Che invece funzionano come silos indipendenti in cui gli utenti vengono chiusi a chiave e “monetizzati”, a esclusivo vantaggio del fornitore.

É quindi ora di capire che cosa vogliono i cittadini europei: la scelta è tra standard chiusi e standard aperti, tra concorrenza e monopoli, tra accentramento e decentralizzazione. Insomma, tra pillola blu o pillola rossa.