Il Manifesto: L’«astroturfing» e i bot di Virgina Raggi

L’«astroturfing» e i bot di Virgina Raggi

Hacker’s Dictionary. I profili fasulli infestano i social. Da LinkedIn a Instagram e Twitter i sockpuppet inquinano il dibattito pubblico ma possono essere scoperti anche senza particolari doti informatiche, forse

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 18 Luglio 2019

L’«astroturfing» è un termine coniato nell’ambito del marketing per definire la creazione a tavolino del consenso dal basso per un’idea, un prodotto o un candidato alle elezioni (cfr. Wikipedia).

La tecnica dell’«astroturfing», che usa soggetti pagati apposta, può anche servire ad alterare la percezione del pubblico su un certo argomento nell’ambito della comunicazione politica, dove però si preferisce parlare di fake news e disinformazione online.

A differenza che nel passato, per inquinare il dibattito pubblico nei social network oggi si usano profili fasulli generati via software da aziende specializzate – sono chiamati volgarmente bot -, e automatizzare compiti come la ripetizione ossessiva di certi messaggi per dare l’impressione che esista ampio consenso attorno a sindaci, partiti e ministri dell’Interno.

Qualche giorno fa ha destato scalpore un hashtag a difesa della sindaca Raggi. Data la viralità, #SiamoTuttiVirginaRaggi ha fatto pensare all’azione di bot dedicati, anche se forse si è trattato di un «tweet-storm», una tempesta di tweet ben coordinata che ha prodotto in mezza giornata 19.300 tweet sul «Malaffare che rivuole Roma» a partire da 350 account che ripetevano lo stesso messaggio.

Raggi a parte, i profili fasulli ormai infestano i social e al netto dei «follower» acquistati in rete per pochi spiccioli – o generati da macchinette simili a quelle che stampano i bigliettini da visita documentate nella metropolitana di Mosca -, li troviamo in grande presenza su Instagram, Facebook, Twitter e LinkedIn e dovunque si possano creare profili con un nome, una foto, una biografia, e qualche collegamento ad aziende e persone reali.

Su LinkedIn, sito dedicato al mondo del lavoro, è possibile creare un profilo fake con un ruolo inesistente presso un’azienda reale, impossibilitata a moderare i propri profili aziendali. Il social permette di moltiplicare le connessioni ad altre persone che in una grande società difficilmente si conosceranno tutte, rispondendo con un «Sì». Oltre alle connessioni con i top manager, anche per LinkedIn, come per TripAdvisor, è possibile acquistare pacchetti di raccomandazioni fasulle.

Su Facebook e Twitter molti profili fasulli sono governati da «bot» in grado di intavolare una banale discussione in chat e che producono una discreta mole di messaggi.

Spesso si tratta di esche sessuali o di truffatori che offrono soldi in prestito o altri servizi a pagamento.

Nel caso di Twitter scovarli è abbastanza semplice: i profili fasulli tipo «GiUsY12345», hanno pochi follower, producono sempre gli stessi messaggi, lo fanno di notte, e replicano raramente a quelli degli altri.

Anche evitare di cascarci tuttavia è abbastanza semplice: si scrive il nome del profilo su un motore di ricerca e se la persona compare su siti di notizie e altri social potrebbe essere una persona vera; incollando nella sezione immagini di Google il suo volto, si potrà poi facilmente scoprire con un confronto incrociato se quella persona esiste realmente oppure è solo il parto di un software.

Adesso però le cose si sono fatte complicate a causa degli «Attacchi Sybil». Questo tipo di attacchi coinvolgono singole organizzazioni che creano e controllano più account fasulli, i sockpuppet, utilizzando come avatar immagini provenienti da social legittimi o da foto di archivio.

Così mentre prima i «fantocci» li scoprivamo col «reverse engineering» delle immagini di profilo, ora è più difficile perché con tecniche di intelligenza artificiale è possibile generare immagini uniche di persone inesistenti come dimostra il sito thispersondoesnotexist.com («This Person Does Not Exist»).