Comunicazione Politica: tre consigli al Centrosinistra

”Il centrosinistra sia portavoce di una politica mobilitante”. Intervista a Sara Bentivegna
AprileOnLine.Info n.92 del 31/07/2004
[Arturo Di Corinto]

Dopo aver assistito all’affollata convention che ha incoronato Prodi leader (protempore) dell’Ulivo, dopo essere stati travolti dalla precoce ed estenuante campagna elettorale per le elezioni europee, dopo il tormentone sulle primarie del centrosinistra, in attesa del ritorno dei talk-show soporiferi di Vespa, ci siamo chiesti quale sia lo stato della comunicazione politica in italia.

Tuttavia quello della comunicazione politica è un ambito di analisi sterminato che viene applicato a esperienze incommensurabili: dalla vittoria di Filippo Penati che ha raggiunto la provincia di Milano passando per i mercati rionali, alla convention tutta lustrini e pon-pon in cui i democratici hanno scelto il ticket Kerry-Edwards. Tuttavia, con l’angoscia di dover vedere anche in Italia la deriva sempre più accentuata verso modelli di comunicazione della politica spettacolari e rituali, telecentrici e verticali, abbiamo deciso di interpellare una studiosa esperta del settore, Sara Bentivegna, docente di Comunicazione Politica all’Università di Roma “La Sapienza”, per cercare dei suggerimenti utili a invertire questa tendenza.

Professoressa Bentivegna, quale è la situazione della comunicazione politica in Italia?
Nel complesso, direi che in Italia la comunicazione politica non è granché sviluppata. Non lo è, in primo luogo, perché essa è frutto di azioni/decisioni assunte e realizzate in prossimità di eventi (il voto, ad esempio) piuttosto che di una precisa strategia. Il risultato è quello di una comunicazione “contratta”, concentrata in un tempo breve, spesso estranea a un progetto di comunicazione “integrata”. E ciò avviene anche se negli ultimi anni tutte le forze politiche hanno delegato la “comunicazione” a un soggetto preciso all’interno dell’organizzazione partitica. Più un’operazione di facciata che di contenuto, visti i modesti risultati ottenuti. Bisogna tenere presente, poi, che la figura del consulente politico è del tutto marginale e, spesso, vengono così definiti individui che non hanno specifiche competenze ma, piuttosto, si muovono nell’ambito giornalistico e delle pubbliche relazioni a differenza di ciò che accade in altri paesi. A titolo esemplificativo, vale la pena di ricordare che Greenberg – il consulente americano coinvolto nella campagna elettorale del 2001 da Rutelli- ha un passato accademico e nel suo staff figurano molti professionisti che dall’università provengono. Negli Stati Uniti, quindi, dove la figura del consulente politico è certamente più diffusa, questa figura è portatrice di competenze e conoscenze che non sempre si rintracciano in Italia. Da quanto detto fin qui, emerge con chiarezza che nel nostro paese il processo di professionalizzazione della comunicazione politica sta muovendo i primi passi, con evidente conseguenze sul prodotto realizzato.
In secondo luogo, non credo che in Italia vi sia un reale investimento nella comunicazione da parte dei soggetti politici. Gli investimenti e le battaglie si giocano, prevalentemente, sul fronte dell’acquisizione di “visibilità” (passaggi televisivi, partecipazione a programmi, e così via) piuttosto che su quello della determinazione dei temi da porre in agenda o sulla ricerca di occasioni comunicative alternative. A questo riguardo, la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo è paradigmatica: in presenza di un’operazione evidente da parte dei partiti del centro-destra tesa a evitare di introdurre temi sociali all’interno dell’agenda politica e mediatica, i partiti del centro-sinistra non sono stati in grado di operare quella che viene definita “agenda shifting”, vale a dire la sostituzione dei temi degli altri con i propri. Il risultato è stato un lungo dibattito sulla guerra piuttosto che sulla crisi economica e sociale del paese, apparsa in tutta la sua gravità solo qualche giorno dopo la chiusura dei seggi elettorali. Inoltre, non solo si è accettato il terreno di confronto scelto dalle altre forze politiche, ma non si è tentato in alcun modo di “creare” occasioni per affermare un’autonoma comunicazione. Se si considera che la campagna per le europee è terminata solo qualche mese fa, emerge con grande chiarezza lo stato di ritardo e confusione che caratterizza la comunicazione politica nel nostro paese. In conclusione, credo che stiamo ancora “scimmiottando” gli americani, con il risultato che copiamo male e non inventiamo nulla.

Si dice che i leader del centrosinistra comunicano troppo e male. Se è vero, di chi è la colpa?
Non c’è alcun dubbio circa il fatto che i leader del centrosinistra comunichino male. Soprattutto, continuano a produrre una comunicazione autoreferenziale: i loro interlocutori sono sempre altri soggetti politici, giornalisti o addetti ai lavori. I cittadini sono per lo più ignorati salvo essere evocati di tanto in tanto. Se si devono attribuire colpe o responsabilità esse non possono che essere attribuite a loro stessi.

Gli “spin doctors” al servizio dei politici italiani funzionano oppure no? E i consulenti d’immagine?
Onestamente non credo che la figura dello spin doctor sia davvero presente in Italia. Piuttosto, credo che le funzioni proprie di questa figura siano in parte assolte dall’addetto stampa. Si tratta, tuttavia, di tutt’altro lavoro. Per quello che riguarda i consulenti d’immagine, credo che essi si limitino a banali consigli sul look, sul modo di parlare e così via. Non vi colgo nessuna specificità: gli stessi consigli possono andare bene tanto a un politico quanto a un amministratore delegato. Il loro campo di competenza è quello dell’immagine non quello della politica: pensate a Maurizio Costanzo, tanto per avere un’idea.

E’ possibile ripensare la comunicazione politica italiana? Tre consigli per il centrosinistra..
Sì, credo che sia possibile, in particolare in questo momento. Sono profondamente convinta che siamo a un punto di svolta tanto della politica, quanto della comunicazione politica. In Italia, si sta esaurendo un modello politico (il berlusconismo) e un modello comunicativo (telecentrico). Inevitabilmente, ne verrà fuori qualcosa di nuovo. Il centrosinistra, tuttavia, piuttosto che stare ad aspettare che qualcosa avvenga deve assumere un ruolo di catalizzatore.
Deve, in primo luogo, farsi portavoce di un progetto di politica “mobilitante”, che consenta e faciliti il coinvolgimento dei cittadini nella costruzione dello schieramento/partito/lista. Il successo registrato da associazioni, gruppi di pressione e movimenti testimonia il “desiderio” di partecipazione che è tornato a circolare in Italia e che non può essere ignorato da un centrosinistra che vuole tornare a vincere. Per questa ragione, la proposta delle elezioni primarie per designare il leader della coalizione deve essere portata avanti in modo tale da costituire il primo step di una più ampia strategia non solo politica ma, anche, di comunicazione. Le discussioni in merito al numero dei candidati e alla definizione dei soggetti aventi diritto di voto devono uscire dai “corridoi” delle sedi dei partiti e trasformarsi nella prima occasione di coinvolgimento di tutti coloro che sono interessati a partecipare alla costruzione del nuovo progetto politico. Le elezioni primarie non si riducono alla kermesse finale in cui si incorona il vincitore: esse sono, piuttosto, parte di un cammino lungo il quale si coinvolgono e mobilitano i cittadini. Esse sono, inoltre, un’occasione di “comunicazione” che si realizza non solo, o non tanto, nella copertura giornalistica dell’evento ma nella produzione continua e decentralizzata di eventi.
Il secondo consiglio che mi sento di dare riguarda la necessità di monitorare i mutamenti che si stanno realizzando nel nostro paese. Un progetto comunicativo – quale che sia la sua finalità – non può essere costruito in assenza di una conoscenza dettagliata delle caratteristiche dei soggetti ai quali si rivolge. Questa conoscenza si realizza mediante la disponibilità di dati e analisi relative ai problemi, alle aspettative, alle speranze e alle paure che circolano in un dato paese, in un dato momento.
In ultimo, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, e sono assai vicini, credo che sia opportuno iniziare, sin da adesso, a costruire un piano di comunicazione. Un piano che, oltre a prevedere le fasi canoniche, preveda momenti pubblici di riflessione e confronto in modo tale da mantenere viva e valorizzare l’istanza partecipatoria dei cittadini. Perché io credo che la prossima campagna elettorale sarà fatta dai cittadini, piuttosto che da Bruno Vespa o il personaggio televisivo di turno.