L’intervista del Tg3 alla vedova Bruno oggetto di una guerra fra i poli

Angius: ”un pregevole pezzo di giornalismo informativo, libero e indipendente”
Aprileonline n° 38 del 14/05/2004
[Arturo Di Corinto]

”Alla luce dell’audizione del direttore del Tg3 in commissione di Vigilanza, e della visione dell’intervista integrale della vedova Bruno, è sempre più evidente che quello del telegiornale diretto da Antonio Di Bella, cui va la solidarietà di tutti i senatori Ds, è stato un pregevole pezzo di giornalismo informativo, libero e indipendente”. Così il presidente dei senatori Ds, Gavino Angius, a commento della polemica innescata strumentalmente dalla destra contro il Tg3 e il suo direttore.

In effetti chiunque abbia visto l’intervista alla vedova del maresciallo Bruno, morto a Nassirya – che è poi il casus belli dell’ennesimo attacco all’unica testata analogica di area ulivista della Rai – può convenire sulla correttezza dei giornalisti coinvolti e trovare una spiegazione della confusione della vedova che smentisce e rettifica. Ennesimo caso di una persona data in pasto al meccanismo mediatico che alimenta la polemica politica col solo obiettivo di creare una cortina fumogena intorno all’unica certezza di tutta la vicenda: le abominevoli condizioni in cui i prigionieri iracheni sono stati obbligati. La confusione della vedova però può essere almeno interpretata. Il dietrofront sulle dichiarazioni riprese dalla maggior parte degli organi di stampa con la tessa enfasi e con la stessa titolazione (“mio marito vide le torture”) è probabilmente imputabile sia alle pressioni che potrebbe aver subito chissà da chi – carabinieri, emissari del governo o dei partiti di maggioranza – sia alla consapevolezza del giorno dopo, quando la signora ha capito di essersi infilata in una cosa più grande di lei: l’uso dei media nella guerra.
Se come diceva Debord “ciò che va in televisione è buono, ciò che è buono va in televisione”, si comprende l’effetto dirompente di una testimonianza siffatta su un’opinone pubblica già grandemente contraria alla guerra e i suoi riflessi sul dibattito interno e internazionale appesantito dall’onnipresente “slide show” delle foto delle torture. L’intervento della vedova ha screditato il Governo italiano con la forza del dolore di un’esperienza intimamente vissuta, quella di perdere il proprio compagno in una guerra che veniva spacciata anche ai militari come “missione di pace”.
Questa potenza delle immagini che per una volta si è ritorta contro i padroni dei media – Berlusconi in Italia, Murdoch negli Usa – è nota sia gli occupanti che ai terroristi. Mentre gli americani hanno cominciato i bombardamenti di Baghdad sempre all’ora di massimo ascolto televisivo, ed hanno contrattacato con le immagini di carceri pulite e ordinate dopo lo scandolo delle sevizie, i terrroristi hanno giustiziato i loro ostaggi – Quattrocchi e Berg – sotto l’occhio della telecamera.
Se la potenza delle immagini diventa un fattore strategico della guerra si capisce perché è cosi scomoda per il governo l’intervista di Piera Bruno, vedova di uno di quegli italiani intorno a cui si era stretto mezzo paese. Metà per le strade di Roma, metà a casa, davanti al televisore.