Piange il telefono ( di Alessandra Mussolini)

Storacegate. Il Tar non accetta il ricorso. Alternativa Sociale esclusa dalla competizione elettorale nel Lazio. Ma gli hacker non c’entrano

Arturo Di Corinto
www.aprileonline.info – n. 224 del 19/03/2005

Piange, la Mussolini. Non riesce ad accettare di essere stata esclusa dalla regionali del Lazio dove pensava di ottenere un consenso popolare tale da poter ricontrattare da una posizione di forza il proprio rapporto con An e la casa delle libertà.

Nel primo pomeriggio di ieri è giunta la notizia che i tre giudici del Tar di Roma le hanno dato torto, il suo ricorso non è ammissibile e questo equivale all’esclusione dalla competizione elettorale della sua lista, Alternativa Sociale, per un pugno di firme. Ne aveva raccolte 4300 coi suoi sodali fascisti (Tilgher, Fiore e Romagnoli) ma quelle 871 firme fasulle non le permettono di arrivare alla soglia minima di 3500 sostenitori per partecipare alle consultazioni. Oltre al danno la beffa.

Su questo giornale abbiamo già spiegato che non ci strappiamo certo le vesti per la sua esclusione e che la legge ”elettorale” va rispettata e che se c’è una cosa certa di tutta questa vicenda è l’evidenza dell’illegittimità delle firme sotto accusa.
Però. Però segnaliamo un cambiamento nelle competenze degli uffici che al Tar si occupano di ricorsi – lo stesso Tar del Lazio da cui proviene il presidente Corrado Calabrò nominato prorio ieri da Fini alla guida dell’Autorità per le Comunicazioni – e la presenza di sostenitori indubbiamente vicini a Storace tra le firme illecite. Ma quello che ci piacerebbe capire meglio è il ruolo di alcuni esponenti di An in tutta la vicenda, e scoprire come l’aennino Sabbatani Schiuma abbia ottenuto i dati anagrafici dei cittadini romani per compararli con quelli collegati alle firme false.
Assodato che la vicenda Mussolini si chiuderà qui – appare infatti improbabile un capovolgimento della decisione del Tar da parte della Corte chiamata a valutare una richiesta d’appello – è interessante ragionare sul polverone alzato attorno al ”furto dei dati anagrafici” dei romani che comparati con i dati elettorali collegati alle firme raccolte hanno permesso di scoprire la truffa.
Qui s’innesta tutta l’inquietante vicenda ribattezzata Storacegate e che pure rischia di risolversi in una bolla di sapone senza che Epurator perda neppure un voto. Non crediamo infatti che i suoi sostenitori possano avere un soprassalto di passione democratica tale da rimettere in discussione l’adagio del fine che giustifica i mezzi. Per capirci, gli storaciani di fronte a un’operazione illegale come quella fin qui ipotizzata – entrare abusivamente nei computer dell’anagrafe di Roma per fare le verifiche che hanno portato a scoprire le firme false – potrebbero dire che ogni mezzo è lecito se si tratta di rivelare una truffa elettorale.
Epperò questa vicenda va chiarita. Sperando che non si risolva in un boomerang per il comune di centrosinistra che potebbe essere considerato dagli investigatori di Pisanu responsabile per omesso controllo.

Nella vicenda dell’intrusione nei computer comunali “violati” non c’entrano gli hacker. Quelli non avrebbero lasciato tracce. Lo scandalo è scoppiato perchè l’intrusione sarebbe originata dai computer di Laziomatica, società per l’informatica e la telematica regionale della Regione Lazio costituita in attuazione della legge regionale n.20 del 3 agosto 2001 e che “rappresenta lo strumento attuativo degli interventi contemplati nel piano regionale di e-government, che ha lo scopo di facilitare l’accesso alla conoscenza e di dare impulso allo sviluppo economico legato alla società dell’informazione e dell’innovazione tecnologica, offrendo maggiori opportunità di crescita e benessere a tutti i suoi cittadini” come è scritto nella presentazione sul suo sito web. La Società per azioni della Regione Lazio in virtù di questo ruolo può operare sul database del comune in base a protocolli d’intesa analoghi a quelli che intercorrono fra altre amministrazioni pubbliche, per scopi legittimi e leciti cioè l’interoperabilità delle basi dati informative della PA come auspicato dai ministri Bassanini e Stanca. Se poi questo accesso deroga dagli scopi per cui è concesso, l’accesso alle informazioni sanitarie nello specifico, non è necessario tirare in ballo dei pericolosi hacker, ma solo indagare su chi è titolato a farlo all’interno di Laziomatica e chissà, magari nello staff della giunta laziale.