ARTURO DI CORINTO
Il Manifesto – 23 Novembre 2001
Oggi negli Usa Niente shopping per non sostenere la guerra, questo il messaggio degli Adbusters. E domani si replica in trenta città italiane
Per reagire alla paura post-attentati i leader del G8 hanno suggerito ai loro cittadini di uscire per le strade e fare shopping. Il sindaco di San Francisco ha persino fatto stampare 15 mila poster con una bandiera americana sormontata dai manici delle buste della spesa, una sorta di invocazione al consumismo patriottico lanciata dallo slogan fighting the good fight (combattiamo la battaglia giusta).
Ma gli Adbusters non ci stanno e rifiutano la chiamata all’acquisto e al consumo recitata dai politici dopo l’11 settembre come rimedio alla depressione psicologica e dei mercati e, dal loro sito, www.adbusters.org, invitano tutti a partecipare al Buy nothing day, la giornata del non acquisto, oggi, come fanno ormai da otto anni.
E siccome Blair e Bush continuano a ripetere che il consumo è il modo migliore per proteggere le libertà del Primo mondo e sostenere la nuova guerra globale, per gli Adbusters questa volta astenersi dagli acquisti diventa una concreta scelta di pace. I famosi culture jammers (agitatori culturali) nordamericani, specializzati nella contropubblicità di alcool, sigarette, profumi e automobili, invitano tutti a dedicare il proprio tempo agli affetti anziché allo shopping, e dicono “se c’è qualcosa che gli attentati ci hanno insegnato è che ciò che nessuno può comprare, l’amore, l’attenzione per gli altri e lo stare insieme, sono le uniche cose che vale la pena di regalarsi”.
Da quando fu lanciata nel 1994, la giornata del non acquisto è diventata la celebrazione del consumo consapevole e del vivere semplice. Replicata ogni anno al termine del Giorno del ringraziamento (il Thanksgiving), il giorno degli acquisti per antonomasia in America, la campagna ha acceso un vasto dibattito, è stata presentata alla radio e nei talk shows e ormai ne parlano un po’ tutti. E, dopo vari rifiuti, quest’anno gli Adbusters sono pure riusciti a comprare uno spazio commerciale sulla Cnn per lanciare la loro proposta di “disobbedienza sociale”.
In Italia il Buy nothing day fu provocatoriamente indetto dalla rivista Infoxoa come “pesce d’aprile” tre anni fa (www.infoxoa.org), ma quest’anno viene celebrata il 24 novembre in circa trenta città italiane con volantinaggi, picchetti, conferenze, teatro di strada, “azioni” nelle università, nei supermercati, fuori dalle banche. A Milano, Trento, Roma e Bologna, Firenze e in altre piccoli comuni, i gruppi che la organizzaano sono i Social forum locali, il giornale di strada Terre di Mezzo, la Rete Lilliput, l’associazione Bilanci di giustizia e le organizzazioni del consumo etico e del commercio solidale.
Altrettanto fantasiosa è l’iniziativa del Buy nothing day contest, un premio per chi inventa la migliore contropubblicità (www.terre.it). L’invito degli organizzatori è quello di rispondere al senso di inadeguatezza che la pubblicità induce – quando ci invita a riempire le nostre insicurezze comprando cose di cui non abbiamo bisogno – diventando consapevoli che il consumismo sfrenato ci rende responsabili dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali.
Un discorso facile da capire se si pensa che “l’impronta ecologica”, cioé l’impatto dei consumi dell’uomo sul pianeta, rende evidente che le risorse naturali utilizzate per i consumi di una popolazione non saranno più a disposizione di altri popoli e delle generazioni successive. Un meccanismo perverso, anche perché gli abitanti del nord del mondo consumano assai di più delle risorse del territorio su cui vivono e il loro (il nostro) stile di vita si regge necessariamente sulla possibilità di sfruttare altri territori, nei vari sud del mondo (www.retelilliput.org).
Considerato che l’origine di tutti i conflitti (anche se camuffati da guerre etniche, di religione o contro il terrorismo), sta nel controllo di questi territori e dei settori economici collegati, come l’industria del petrolio o quella dei rifiuti, se c’è una battaglia giusta da combattere è quella per lo sviluppo sostenibile e la sola guerra che potrà assicurarci una pace duratura (enduring freedom), è quella contro il consumo forsennato e lo spreco di risorse come l’acqua, contro l’inquinamento dell’aria e dei terreni e contro le minacce alla biodiversità portate dalle sementi transgeniche e dalle politiche di copyright alimentare delle multinazionali.
Ma noi cosa possiamo farci? Tanto per cominciare, dicono i promotori della giornata, possiamo diventare consumatori responsabili adottando una strategia lillipuziana e cioé: acquistare solo ciò di cui si ha veramente bisogno, riciclare tutto e acquistare oggetti riparabili, evitare i prodotti con troppi imballaggi, acquistare biologico, ricercare i prodotti del commercio equo-solidale che riconoscono il giusto guadagno ai produttori e rispettano l’ambiente e boicottare le imprese che sfruttano il lavoro minorile e le risorse dei paesi in via di sviluppo. Semplice, no?