Il Manifesto: Buon compleanno al Web

W come Web. Www come World Wide Web. Web, Ragnatela quasi mondiale. Il 12 marzo del 1989 uno scienziato inglese, Tim Berners Lee, presenta il progetto di un sistema di condivisione di documenti elettronici per facilitare la comunicazione e la cooperazione scientifica tra i suoi colleghi del centro di ricerche nucleari di Ginevra, il Cern, quello del Bosone di Higgs, per intenderci.

La sua idea era la stessa vagheggiata dallo psicologo James Robbnett Licklider che sviluppò a fini civili il primo progetto per Internet, cioè creare una biblioteca universale di documenti elettronici. Tim Berners Lee però fece di più: insieme al collega belga Robert Cailliau avviò lo sviluppo di un linguaggio per visualizzare sullo schermo di un computer questi documenti, l’Html, Hyper Text Markup Language, e collegarli tra di loro tramite l’Http, Hyper Text Transfer Protocol.

È solo dal 1991 che però celebriamo la nascita del web poiché il 6 agosto dello stesso anno Berners Lee mise online il primo sito web del Cern.

Tim Berners Lee negli ultimi anni è diventato molto critico con la sua creatura dicendo che a causa del web abbiamo perso il controllo dei nostri dati; che è troppo facile spargere disinformazione e bufale sul web; che la propaganda politica online andrebbe regolata e resa trasparente, altrimenti il web sarà sempre di più uno strumento di manipolazione e di controllo dei suoi utilizzatori.

In occasione del 29esimo anniversario della sua «invenzione», Tim Berners Lee lancia un nuovo allarme dalle pagine del giornale inglese The Guardian: «Le piattaforme web sono diventate un’arma». Vuol dire che Facebook, Twitter, Google e Co. non sono più strumenti di emancipazione, ma di controllo delle idee e delle opinioni che attraverso di essi vengono condivise.

In effetti Google gestisce quai il 90% delle ricerche online mondiali, Facebook è la nazione più grande del pianeta coi suoi 2,2 miliardi di utenti attivi mensilmente e, come dice il Guardian, le due società, con le loro controllate, YouTube e Instagram, assorbono più del 60% della spesa pubblicitaria digitale in tutto il mondo. Motivo questo degli enormi profitti che le aziende capofila cercano di non farsi tassare nei paesi dove li producono bensì dove hanno agevolazioni fiscali come l’Irlanda o il Belgio.

Queste piattaforme sono responsabili della distruzione della biodiversità del web, quella rappresentata da siti e blog indipendenti.

Ma è vera anche un’altra cosa: il web così come lo conosciamo e usiamo è solo un quarto di tutto il web. Pensatelo come un iceberg. La punta è fatta dal Clear web o Surface web, quello dove troviamo ilmanifesto.it, Twitter, Microsoft, le università, i siti dei cantanti preferiti.

Sotto il pelo dell’acqua c’è il Deep web, il web profondo, che per definizione è la parte del web non indicizzata dai motori di ricerca e che quindi non compare nei risultati di Google se la cerchiamo con delle parole chiave, le «keyword».

Nel Deep Web ci sono database scientifici a pagamento e i contenuti che richiedono login e password. All’interno del Deep Web troviamo il Dark Web, il web oscuro che è accessibile solo con software specifici come Tor, usato da spioni e criminali, ma anche da attivisti, hacker e perseguitati politici che non vogliono essere trovati.

Nel Surface, Deep e Dark Web troviamo allo stesso modo contenuti che sono legali e illegali, morali o immorali, sicuri o insicuri.

Il Dark Web si chiama così solo perché è più difficile da trovare non perché sia più pericoloso.