L’alternativa del software libero

Monopoli del sapere, copyright, cooperazione digitale. Un incontro
ARTURO DI CORINTO
il manifesto – 09 Novembre 2002

Se alla Fortezza da Basso il caffè al bar è equo e solidale, al media center i computer funzionano con software libero e non con software commerciale.

Logica conseguenza di un incontro, quello del FSE, che denuncia lo sfruttamento del lavoro e delle risorse ambientali ma anche l’appropriazione delle idee, dei saperi e delle tecniche, attraverso questi piccoli ma significativi gesti comunicativi. Ed era naturale che anche al forum si parlasse di software libero e diritti d’autore. Nella Sala Polveriera Simone Piccardi dell’Associazione software libero, Alessio Papini, consigliere Verde fiorentino, e il brasiliano Marcelo D’Elia Branco hanno tenuto un incontro sulle alternative ai monopoli del sapere e sui pericoli del regime del copyright su quella che è la materia prima dell’innovazione tecnologica: il software.

Fino a 30 anni fa il software era libero; da quando è stato sopposto alla normativa sul diritto d’autore come opera dell’ingegno umano, non lo è più stato. Il copyright sul software ha di fatto limitato il diritto, fondamentale allo sviluppo stesso dei programmi, di studiarne il codice, modificarlo e distribuirlo. L’alternativa è il copyleft garantito dalle licenze GPL per il free software e quello open source che usano questa particolare forma di copyright per mantenere la libertà d’uso del software. Una filosofia alla base della ricerca scientifica e accademica. Questo, come ha spiegato D’Elia Branco, consigliere del governo Lula sulle questioni tecnologiche, rappresenta un elemento fondamentale della lotta al divario digitale: «Se saremo capaci di produrre e controllare la nostra tecnologia non saremo dipendenti dai paesi ricchi per istruire i nostri cittadini, far funzionare l’amministrazione pubblica, soprattutto potremo produrre e scambiare i nostri contenuti senza l’aggravio dei costi dovuti al pagamento delle licenze del software commerciale».

Ma non è stato l’unico a porre l’accento sulle potenzialità di sviluppo culturale e sociale del software libero. Fra il pubblico molti erano i LUGs (Linux User Group), ciascuno impegnato in un progetto di cooperazione per portare le tecnologie là dove non ci sono: fra il popolo Saharawi (è il caso dei Linuxisti di Empoli), dell’associazione Prout (Burkina Faso e India), o del progetto dell’associazione Italia-Cuba per superare la doppia muraglia, politica ed economica, che anche nel paese di Castro ha finora impedito lo sviluppo dell’«informatica rivoluzionaria».

Grande preoccupazione è stata anche espressa per le ipotesi di brevettazione del software e di quelle forme della conoscenza che sono i metodi formativi, di cura e commerciali. Come la richiesta alle scuole di pagare i brevetti per usare sistemi di insegnamento computer-basedm, esempio di un tentativo generalizzato di brevettare «tecnologie sociali» una volta incorporate nel software o codificate da specifici processi. Ma l’opposizione a questo è già oggetto di una campagna (http://petition.eurolinux.org).