“Pedofilia? In tv”
A. D. C.
Dopo Avana il Comune di Roma decide di censurare anche il sito http://www.romacivica.net/thething. Il nodo italiano del network internazionale omonimo di web-art e net-culture è infatti anch’esso presente sul sito della rete civica della capitale ed è stato oscurato, per alcuni contenuti considerati “discutibili”, dai responsabili di romacivica.net.
In questo secondo caso la censura ha tagliato fuori dal progetto dedicato alla sperimentazione e diffusione di nuovi linguaggi in rete un’intervista a Francesca Da Rimini. Nell’intervista la pluripremiata artista australiana, membro dello storico gruppo Vns Matrix, ripercorre le tappe della nascita di Dollyoko, creatura virtuale dell’incoscio cyber-femminile. In visita a Roma, le abbiamo chiesto di di dirci cosa pensa della censura subìta.
Credi che il tuo lavoro su Dollyoko possa essere considerato pornografico e incoraggiare la pedofilia?
Non credo che questa forma d’arte, un esempio di scrittura collettiva in rete, possa incoraggiare perversioni. Queste semmai sono alimentate da una società ipersessuata ma sessuofoba, la cui origine va rintracciata a scuola, in famiglia, davanti al televisore. Anche se il mio non è un progetto didattico, la sua natura è quella di esplorare potenzialità, limiti e contraddizioni di una struttura sociale fondata sul controllo delle pulsioni e dei comportamenti.
Ma allora perché l’intervista è stata censurata?
Non ne sono sorpresa, considerata l’isteria mediatica che circonda l’argomento. Piuttosto mi fa pensare la dovizia morbosa di particolari con cui la stampa ha raccontato casi di abuso, violenza e omicidio avvenuti a danno di bambini e la totale assenza di rispetto per la privacy delle loro famiglie. Spero solo che il sacrificio virtuale di Dollyoko serva ad affrontare senza semplificazioni il tema della pedofilia. E in ogni caso la cosa è antropologicamente interessante…
Perché?
Perché in Australia non sarebbe successo. E la ragione è che noi siamo più preoccupati dalle numerose vicende di casi di abuso negli orfanotrofi cattolici piuttosto che dalla possibilità per tutti di parlarne.
Chi è Dollyoko, il tuo personaggio censurato?
Dollyoko nasce da una mia visita in Giappone, ai piedi di un lago dove le donne erano costrette ad affogare le proprie figlie. La “mia” Dollyoko è la reincarnazione digitale di tutte quelle voci messe a tacere prima che potessero rappresentare un pericolo per il rigido codice patriarcale della società giapponese.
Pare che l’intervista sia stata censurata perché era illustrata da foto pornografiche.
Le immagini provengono da un libro in cui si parla dell’opera di De Sade, il primo in occidente a dire che le donne hanno una sessualità e che potevano godere e non solo procreare. Tutto il discorso ruota intorno al rapporto fra le forme della sessualità, le differenze di genere e il potere. C’è una stana simmetria fra la sorte della personalità binaria di Dollyoko e quello che sta accadendo sulla rete. Anche Dollyoko è un fantasma, il fantasma di donne abusate, madri e figlie, e viene censurata perché rappresenta quello che una consapevole amnesia sociale vuole rimuovere: il fatto che viviamo in una società violentemente patriarcale, dove gli stessi uomini che fanno le leggi molestano le proprie figlie. Una società che preferisce cancellare i propri fantasmi anziché affrontarli.