Vizi e virtù di una burocrazia digitale

«La società aperta e i suoi amici», un convegno del Comune di Roma su sviluppo collaborativo e software libero
il manifesto – 16 Luglio 2004
ARTURO DI CORINTO

La digitalizzazione delle reti e dei contenuti sta rapidamente modificando gli scenari sociali, economici e politici della contemporaneità, con effetti che sono ancora difficili da anticipare.

Il governo elettronico sta ridisegnando in maniera lenta ma inesorabile, il rapporto dei cittadini con le istituzioni; l’e-democracy plasma le forme della partecipazione; la «smaterializzazione» della cultura, l’e-content, determina nuove modalità di creazione e fruizione dell’arte e del sapere ma crea anche nuovi mercati e nuove occasioni d’impresa. Alla base di questi cambiamenti c’è il software, il linguaggio che istruisce le macchine informatiche e che non solo rappresenta una industria a sé stante ma «decide» il modo in cui gli umani possono fruire le innovazioni tecniche, scientifiche, amministrative, favorendo o negando il dialogo e la cooperazione fra cittadini, imprese, istituzioni.
Il movimento del software libero – quello sviluppato con licenza di libero utilizzo e in maniera collaborativa fra milioni di programmatori fra di loro connessi via Internet – dimostra come una cultura libera e radicale possa offrire al mondo dell’impresa strumenti in grado di competere qualitativamente con il software chiuso sviluppato dalle multinazionali, obbligate oggi a ripensare i loro modelli di business, e affrontare efficacemente il digital divide fra chi accede e chi no ai vantaggi della società dell’informazione. All’immaginario prodotto dall’afflato ideologico del software libero e ai vantaggi associati comincia a rispondere positivamente la società politica che attraverso iniziative di livello locale e nazionale ne incoraggia timidamente lo sviluppo, secondo le direttive elaborate in ambito europeo per abbassare le barriere d’accesso al mercato da parte delle imprese e fornire servizi affidabili ai cittadini. Un’attenzione necessaria anche per ottimizzare le spese che la pubblica amministrazione affronta per l’informatizzazione degli uffici e la digitalizzazione dei servizi, e che scuote alle fondamenta il castello di una burocrazia arroccata a vecchi privilegi.
Di tutto questo si è parlato al convegno promosso dal Comune di Roma – su iniziativa dell’assessora Mariella Gramaglia – «La società aperta e i suoi amici. Sviluppo collaborativo, software libero, democrazia digitale». Un titolo scelto non a caso per dire come solo da una società aperta, plurale, solidale, si possano generare libertà e democrazia e, viceversa, che solo dalla cooperazione e dal dialogo si possa costruire una società aperta. A testimoniare il carattere virtuoso di questo circuito di apertura-collaborazione-crescita, sono intervenuti amministratori, politici, studiosi, imprenditori, organizzazioni non-profit, ognuno con il proprio peculiare punto di vista, convergente verso l’ideale di una società aperta alla condivisione del sapere, alla libera concorrenza, alla solidarietà e all’efficienza. Almeno a parole. Sono infatti assai differenti le ricette di politica industriale sollecitate dai diversi soggetti, diversa l’analisi degli sviluppi della comunicazione mediata dalle tecnologie, diverso il ruolo attribuito alle istituzioni e alle imprese per l’innovazione di processi e prodotti della comunicazione. Sicuramente è un segnale positivo che questi soggetti, spesso con obiettivi irriducibili e strategie inconciliabili, si siano ritrovati intorno a un medesimo tavolo.
Tuttavia c’è un «ma». Non si può parlare di società aperta se i mezzi per realizzarla non sono aperti e se le leggi non la incoraggiano. E per fare questo non basta un bando di concorso o un forum di discussione. Ci vuole la politica.
Una società aperta deve incoraggiare la libera circolazione di idee e delle informazioni, cioè la libera diffusione della conoscenza.

Le recenti leggi sul copyright, l’inflazione brevettuale, le norme sull’uso delle radiofrequenze nel contesto dell’economia di rete tendono a favorire le grandi compagnie escludendo i singoli cittadini e le Pmi dall’accesso alla conoscenza. Regole giuridiche nate per proteggere gli investimenti delle imprese e gli autori/inventori vengono usate come uno strumento protezionistico e di creazione di monopoli non giustificato dal processo di sviluppo delle nuove tecnologie, che richiedono invece sempre maggiore cooperazione e condivisione, mentre il terreno di scontro si è spostato dal gradimento commerciale alle aule di tribunale, dalla qualità del prodotto all’efficienza delle litigation companies impiegate. O all’efficacia dei lobbisti presso i parlamenti nazionali e sovranazionali.

Per realizzare una società aperta alla conoscenza è perciò necessario crearne le condizioni: incoraggiare la produzione, l’acquisto e lo sviluppo di software libero nella pubblica amministrazione; favorire il riuso di quello ”custom”, formare i dipendenti; creare banche dati del software presso le reti civiche e gli enti locali; favorire l’industria europea del software libero creando dei poli aggregativi intorno alle università; ridurre la durata temporale del diritto d’autore; creare archivi aperti delle pubblicazioni scientifiche, e tutelare ogni prodotto finanziato da denaro pubblico con licenze aperte del tipo di Creative commons (www.creativecommons.org). Quanto ai brevetti: adattare il copyleft, pensato per il software, per la protezione del vivente; creare database pubblici di dati genetici; riformare l’ufficio europeo dei brevetti che deve tornare sotto il controllo pubblico e adottare vincoli più severi nel rilasciare nuovi brevetti; ridurre la durata temporale dei brevetti; creare agevolazioni fiscali e creditizie per lo sviluppo, la brevettazione, lo spin-off dai luoghi pubblici di produzione del sapere. Per quello che riguarda l’etere: attribuire una quota ampia di radiofrequenze agli usi comunitari (tv di strada, reti wireless, radio comunitarie a partire dal livello locale); consentire la ridistribuzione del segnale radio da parte dei singoli utenti come contropartita all’uso delle basse frequenze in dote alle società di telecomunicazione.
Prima di arrivare a una riforma della Wipo (World Intellectual Property Organization) e limitare a livello mondiale l’applicazione degli Intellectual Property Rights (Ipr), sono queste le condizioni minime per creare una società veramente aperta, basata sui modelli di condivisione del sapere, e non sulla finta competizione che ingessa sviluppo e innovazione.

3 commenti su “Vizi e virtù di una burocrazia digitale”

  1. …evidentemente non c’eri…

    Quando parli di “creare banche dati del software presso le reti civiche e gli enti locali”.
    E’ proprio quanto ha proposto la Gramaglia.

  2. parli parli parli… ma la tua presentazione sul sw open source è scritta con ppt E POI TE LA PRENDI CON MICROSOFT! Alla faccia della coerenza compagno Arturo!

  3. Mia cara Bah-
    non e’ mia abitudine rispondere a chi non si presenta, tuttavia stavolta lo faccio, perche’ dai tuoi commenti si capisce che ci conosciamo, che stavamo insieme al convegno e che hai capito perche’ me ne sono andato.
    Vengo al merito. Brava la Gramaglia che ha proposto quelle cose. Ha imparato da noi che questo cose gliele abbiamo proposte quasi dieci anni fa. Lo puoi leggere sul libro “Una Ragnatela sulla trasformazione” (a cura di Freschi e Leonardi), oppure su Hacktivism (Di Corinto, Tozzi).
    La seconda questione e’ piu’ seria e quasi ti do’ ragione. E’ con amarezza che ho dovuto sostituire o trasformare le versioni fatte con soffice con quelle fatte usando powerpoint. E’ stata una richiesta dei mie studenti.
    Io credo comunque che ogni cambiamento e’ graduale e quindi vedrai che col tempo riusciro’ a fargli usare openoffice.
    a presto

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