Verso il WSIS

Dal 10 al 12 dicembre avrà luogo a Ginevra la prima fase del Summit Mondiale della Società dell’informazione (Wsis) organizzato dalle Nazioni Unite e dalla International Communication Union (ITU) con l’obiettivo di “promuovere una società dell’informazione partecipata e democratica”.
Arturo Di Corinto
per Quinto stato e Zeusnews

Il summit, che vedrà la partecipazione di circa 5000 delegati provenienti da tutto il mondo, ha come temi centrali la questione delle infrastrutture di comunicazione, l’accesso all’informazione e alla conoscenza, la formazione e l’istruzione, la privacy e la sicurezza elettroniche, lo sviluppo dei media e l’etica della comunicazione. Temi che, nonostante abbiano segnato la storia delle comunicazioni di massa, richiedono oggi un approccio del tutto nuovo per l’importanza che essi rivestono in una società globale e interdipendente e di cui le ICTs (le Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione), rappresentano gli strumenti abilitanti.

Che le tecnologie della conoscenza e della comunicazione possano essere utilizzate per promuovere lo sviluppo umano e la democrazia, ridistribuire le risorse e favorire il riequilibrio fra il nord e il sud del mondo è un refrain noto negli ambienti politici più sensibili oltre che nella società civile, ma il fatto che nella dichiarazione dei principi del summit questi concetti vengano fatti propri da governi, imprese e agenzie internazionali è un fatto relativamente nuovo. La ragione di questa attenzione è probabilmente da ricercarsi nel lavoro di lobbying operato dalla società civile negli incontri preparatori al Summit, dalla necessità per le imprese di non ripetere gli errori che hanno portato alla bolla della new economy, ma anche dalla consapevolezza che una società più giusta può nascere solo con la prevenzione di quelle situazioni di esclusione che sono la ragione ultima del sottosviluppo, dell’instabilità e dell’insicurezza globali.

Gli stakeholders (i portatori di interesse) della società dell’informazione infatti non sono solo certo i cittadini: le imprese hanno bisogno di innovare processi, prodotti e ampliare i mercati; i governi abbisognano di stabilità, legittimazione, sviluppo sociale ed economico; mentre la politica richiede consenso e partecipazione. Apparentemente il progresso delle ICTs può generare nuove opportunità per tutti quanti, tuttavia sarebbe sbagliato pensare che al di là delle belle parole questi attori abbiano gli stessi interessi.

La questione dell’accesso alle infrastrutture di comunicazione è il primo problema. Le telcos (le aziende di telecomunicazione) non investono in contesti poco redditizi e questo è uno dei motivi per cui nonostante la tecnologia consenta di farlo con poca spesa, interi territori sono tagliati fuori dalle nuove possibilità di comunicazione. La connettività non è considerata un diritto universale e questo fatto introduce la disparità nell’accesso a informazioni rilevanti e impedisce agli individui di produrne di proprie. Molti stati impediscono il libero accesso all’etere, un bene comune dal cui uso tutti potrebbero beneficiare, costruendo radio e tv comunitarie, o reti internet senza fili. L’accesso all’informazione e alla conoscenza viene costantemente limitato da leggi e pratiche che sottraggono agli individui e ai popoli capacità e know-how di cui sono stati depositari per millenni: basti pensare ai brevetti sulle sementi, sulle pratiche di cura o sui metodi commerciali. Mentre incombe la brevettabilità del software, la risorsa più importante della società dell’informazione perchè incorpora sapere e conoscenza ed è alla base di tutta l’industria della comunicazione e di ogni produzione tecnologicamente avanzata.

D’altra parte, anche l’istruzione, nella forma del’educazione primaria e secondaria, dell’educazione per gli adulti, non è più garantita dal ritrarsi dell’intervento statale nella scuola e nelle università che, troppo spesso, per far fronte alla loro necessità si fanno veicolo di iniziative pubblicitarie o si trasformano in cerberi custodi di conoscenze prodotte con soldi pubblici e vendute al miglior offerente. Ma anche le nuove opportunità di apprendimento possibili grazie all’insegnamento a distanza, all’accesso a musei e biblioteche virtuali non possono concretamente dispiegarsi fintanto che il loro accesso è definito su una base censitaria. E che dire poi delle contraddizioni di una società spaventata che attraverso la disseminazione di telecamere, database e agenzie per la sicurezza scheda gli individui e insieme alla mobilità limita dignità e speranze di vita a uomini e donne?

Ma in questo scenario è chiaro il ruolo che gli stati sono chiamati a esercitare per correggere le distorsioni del mercato ed esercitare un ruolo normativo e di controllo per costruire le condizioni di una reale inclusione dei cittadini ai processi partecipativi e deliberativi che li riguardano. Senza di questo anche il governo elettronico, l’e-Government, che dovrebbe assicurare maggiore trasparenza e partecipazione, diventa una farsa.

Perciò al di là delle dichiarazioni di principio se davvero si vuole costruire una società più equa e sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia è chiaro che alcuni passaggi sono ineludibili: permettere l’accesso alla conoscenza in tutte le sue forme, impedendo che brevetti e copyright diventino barriere insormontabili per beneficiare della conoscenza collettivamente prodotta; finanziare l’informazione comunitaria e lasciare che ciascuno utilizzi i mezzi più adeguati al contesto, alla cultura e alla lingua di chi vi partecipa; investire nel capitale umano, culturale e ambientale, dicendo basta alla biopirateria delle multinazionali, basta ai monopoli tecnologici e del software, investendo nella formazione e nella ricerca pubbliche.

Ultimo, ma non meno importante, impedire la concentrazione dei media per i quali non servono soltanto codici di autoregolamentazione e tecnologie già vecchie e inadeguate come il digitale terrestre, ma una reale difesa degli utenti e degli operatori dell’informazione, questi ultimi troppo spesso stretti fra precarizzazione dei rapporti di lavoro, censure e dipendenze politiche. È solo così che dalle dichiarazioni di principio si può buttare un ponte per superare il digital divide, la frattura tecnologica che separa gli info-ricchi dagli info-poveri di un futuro gia’ presente.
Per questo movimenti e societa’ civile si soo date appuntamento a Ginevra per un controsummit gravido di proposte che gridera’ a gran voce per un diritto alla comunicazione senza confini e senza censure www.geneva03.org