Il Fatto Quotidiano: Digitale, presentato il piano di innovazione. Bello, ma senza soldi sarà difficile realizzarlo

Digitale, presentato il piano di innovazione. Bello, ma senza soldi sarà difficile realizzarlo

di ARTURO DI CORINTO per Il Fatto Quotidiano del 21 Dicembre 2019

2025. Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del Paese: sembrava il solito annuncio, invece il piano quinquennale di Paola Pisano, ministro dell’Innovazione, è molto bello, almeno a parole. E recupera, senza dirlo, l’idea dell’innovazione semplice, su cui sono stati sviluppati i progetti precedenti della Presidenza del Consiglio, dei digital champions, del team per la trasformazione digitale e del consigliere per l’innovazione di Renzi, Paolo Barberis.

La visione, come dice il piano, abbraccia tre sfide: digitalizzazione, innovazione e sviluppo etico e sostenibile, descritte attraverso nove obiettivi che prendono forma con le prime venti azioni “pratiche e fattibili per accompagnare la Pubblica Amministrazione, le aziende, il nostro Paese e noi cittadini nel futuro che abbiamo immaginato.” Nel piano il ministro si impegna ad aggiornare questa vision ogni 4 mesi per verificare lo stato di sviluppo delle azioni, l’inserimento di quelle nuove e il loro status rendendole pubbliche, affinché chiunque possa dare il suo contributo in collaborazione con gli enti coordinati da una cabina di regia con i Comuni, le Regioni, le agenzie centrali e locali e i soggetti privati.

Sì, ma i soldi? Ogni piano della Pa si è sempre scontrato con la mancanza dei fondi, la loro cattiva gestione, e la tendenza tipica della Pa governata dalla politica in cui chi ha potere di rallentare o velocizzare un processo semplicemente lo fa. Perché? Per avere più potere, ma che spesso è un potere di veto. Dice il ministro che saranno usati fondi destinati all’innovazione nella manovra di bilancio, Fondi Pon, Pon gov, Fondi di Coesione e di nuova programmazione, d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica. La storia d’Italia racconta però l’incapacità di usarli in maniera efficiente e trasparente. Vedremo.

Gli obiettivi del piano sono condivisibili e anche le azioni: accelerare lo switch-off al digitale e il ridisegno dei processi di gestione ed erogazione dei servizi pubblici; aumentare le competenze nella Pa; collaborare con Pmi e start up innovative; evitare di focalizzarsi su tecnologie che sono ancora immature o sono troppo vecchie; monitorare i risultati. L’ultimo è probabilmente il più importante. Se viene fatto. La politica che vive di annuncite ha stufato un po’ tutti. Non è vero?

Anche i punti cardine definiti nel programma sono guidati da principi molto condivisibili: piattaforme abilitanti messe in campo dai governi precedenti come identità digitale, pagamento elettronico, anagrafe unica, carta d’identità elettronica (tutti a rilento), e poi la razionalizzazione delle infrastrutture e delle risorse (cloud) che però non si può fare senza il censimento di questi ultimi, l’aggregazione dei data center e loro riterritorializzazione, la promozione di modelli virtuosi come il riuso del software (idea decennale).

Appare condivisibile l’idea di migliorare i processi d’acquisto e le politiche di open innovation per favorire la crescita dei servizi digitali del mondo privato e la condivisione del patrimonio informativo pubblico fra privati e amministrazioni, in un’ottica di trasparenza e per sviluppare servizi esistenti.

Pure buona l’attenzione che si dice di volere dare alle piccole città, ma le vere parole d’ordine, trasversali a tutto, sono la formazione continua per il reskilling, lo sviluppo di nuove competenze e l’aggiornamento continuo per far fronte ai lavori del futuro.

Di una cosa il ministro è consapevole e fa bene a dirlo: “La frammentazione e la duplicazione delle competenze e delle funzioni ha, sin qui, rallentato i processi di innovazione. Serve, al contrario, fare squadra.” Per questo ha immaginato una cabina di regia alla quale partecipino tutti i Ministri, immaginando un Comitato per la Digitalizzazione della Pa e l’innovazione del Paese al quale sono invitati a partecipare i rappresentanti delle associazioni di categoria e gli stakeholder privati operanti nel settore Ict e un Tavolo di lavoro con le regioni e le città.

Il piano recupera buone idee che non siamo ancora riusciti a implementare. Ad esempio quella del team di Francesco Caio nel governo Monti e poi del consigliere di Matteo Renzi, Paolo Barberis che aveva creato Developers Italia, per cui ogni cittadino deve disporre di un’identità digitale unica, gratuita, facile da usare, che gli permetta di identificarsi in maniera sicura e accedere a tutti i servizi digitali pubblici per compilare la dichiarazione dei redditi, richiedere un permesso di parcheggio, verificare la posizione contributiva, fare un bonifico online o guardare la pagella dei figli.

Anche “Un domicilio digitale per tutti” lo si aspetta dal 2014. L’intervento di Infocamere per la Presidenza del Consiglio dei Ministri tramite l’Agenzia per l’Italia digitale stavolta farà la differenza? Nelle intenzioni del ministro il domicilio diverrà obbligatorio. L’idea va in parallelo con l’app Io (ex Italia login e Italia.it), un’unica interfaccia per accedere a tutti i servizi pubblici direttamente dallo smartphone dopo essersi identificati con l’identità digitale: anche per iscrivere i figli all’asilo.

Qualche dubbio lo solleva il programma di “Ristrutturazione digitale”: i privati dovrebbero “sponsorizzare” il rifacimento di siti e servizi digitali come accade coi monumenti cittadini. Ma fatto secondo regole di design e chiarezza senza però alcun riferimento alla security by design. Senza di essa continueranno le scorribande dei cybercriminali.

Buona anche l’idea di innovare i servizi in modalità open innovation e l’obbligo di rilascio del software nella piattaforma Developers Italia con budget di progetto non superiore ai 200mila euro e un contributo pari al 50 per cento del budget complessivo.

La deroga al codice degli appalti per i servizi digitali potrebbe essere una cattiva idea. La Pa italiana ha grande esperienza di truffe, contratti tarocchi e parcelle gonfiate. Per consentire alle amministrazioni di acquisire prodotti e servizi digitali in maniera semplice bisogna piuttosto sveltire la macchina pubblica offrendo risorse e competenze dove mancano, e dare certezza della pena per chi bara.

Interessante ma non di facile realizzazione per motivi etici, tecnici e legali, l’idea di introdurre e promuovere l’utilizzo di applicazioni di intelligenza artificiale nella gestione di procedimenti amministrativi, soprattutto nel mondo della giustizia. Ma questo dovrebbe pensarci un Ai Ethical Lab-el, il cui nome dice tutto.

Le parole d’ordine dentro il programma sono bellissime: Innovazione bene comune, Borghi del futuro, Diritto a Innovare, ma la sfida sarà parlarsi con i Ministeri competenti per fare quello che si vuole fare. Il ministro vuole un programma strutturale e un brand – le misure per sviluppare il settore delle tecnologie innovative in Italia – nuovi contratti collettivi per i lavoratori dell’Ict, visti facili e programmi di collaborazione con gli incubatori stranieri di start up. Per farlo propone l’internazionalizzaione del brand tecnologico italiano: tech made in ITaly, ovvero MADE.IT focalizzati sulle tecnologie del momento.

Anche l’“Alleanza per l’intelligenza artificiale sostenibile”, è cosa nota, ma Paola Pisano vuole un comitato per certificare la sostenibilità etico-giuridica di soluzioni di intelligenza artificiale destinate al settore pubblico e privato. Si apra il dibattito. Idea interessante è piuttosto quella di una piattaforma di e-learning per l’educazione di base all’intelligenza artificiale, così da consentire a chiunque di prepararsi alla trasformazione che avanza.

Un progetto che introduce il concetto di Repubblica Digitale: un hub di formazione sul futuro insieme all’accento su Infrastrutture digitali condivise, sicure, affidabili e green.

Insomma: Scuola, Sanità e Giustizia solo sfiorati, poco elaborato il tema della cybersecurity, assenti numeri e risorse, neanche menzionati i sindacati, la visione va nella direzione giusta?

Sviluppato, potrebbe essere un buon piano. Però nel Piano crescita 2.0 c’era un cronoprogramma e degli investimenti certi. Stavolta non c’è il tempo, non ci sono i soldi e su tutto pende la spada di Damocle delle elezioni prossime venture.