Il Manifesto: La dataveglianza può essere sconfitta

La dataveglianza può essere sconfitta

Hacker’s Dictionary. App, social e servizi web succhiano i nostri dati senza che ne accorgiamo e li trasformano in valore sorvegliando i comportamenti quotidiani

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 2 Gennaio 2020

La dataveglianza può essere sconfitta, almeno in parte. Le piattaforme digitali che ci offrono tutti quei servizi online in cambio dei nostri dati non sono i mostri imbattibili che i lobbysti ci hanno fatto credere.

Se non gli dai da mangiare, «il mostro» muore. Certo, ci vuole consapevolezza. Ma d’altra parte sarebbe ridicolo tuonare contro il capitalismo delle piattaforme, la sorveglianza dei consumi e il furto di dati e non fare neppure uno sforzo per smarcarsi dal controllo dei big player della rete.
Secondo uno studio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’accumulo di dati per realizzare pubblicità personalizzate vale 21 euro l’anno per Facebook, 11 per Instagram, 37 per Google, 10 per Youtube. A persona. Ed è solo una media.

Le alternative per «degooglizzare» la nostra vita esistono, e si chiamano DuckDuckGo e Qwant nel caso dei motori di ricerca e Protonmail per la posta elettronica. Solo per citarne qualcuna.

Cancellare Facebook può sembrare difficile, in realtà si vive meglio, si litiga di meno e si leggono più libri.

Lo stesso discorso vale per tutti gli altri mostri (Twitter, Instagram, Tik Tok) che, ingoiando i nostri dati pianificano in maniera molecolare ogni lancio pubblicitario, orientano gli elettori indecisi, succhiano il nostro tempo, l’unica risorsa che non siamo ancora in grado di rigenerare.

Ma come si fa resistere all’impulso di prendere lo smartphone e comunicare al mondo l’intuizione della vita? Come rinunciare al pensiero che un nostro click, sommato agli altri, cambi il destino dei ghiacciai e la linea politica dei partiti? Come rimanere in contatto con colleghi, amici e parenti lontani? Se proprio volete crederci e non volete rinunciarci, ecco cosa potete fare per ridurre la costante raccolta dei dati che un giorno potrebbero essere usati contro di voi.

La prima cosa è cambiare il nome del dispositivo. Si fa presto, basta andare nelle impostazioni, cercare la voce che ci interessa, ad esempio «nome» e cambiarlo.

Lo stesso va fatto col wi-fi o col bluetooth che è meglio spegnere se non lo usi. D’altra parte se ti trovi in aeroporto perché devi far sapere a tutti quelli connessi che ti trovi lì? Poi fai una bella pulizia del browser. Meglio buttare quelli che raccolgono troppi dati come Chrome e Safari e installare Mozilla Firefox, oppure andare sulle singole applicazioni e dal menù pigiare su un tasto che c’è sempre: «Pulisci la memoria», «clear private data» per Firefox, «clear browsing data» per Chrome, «clear history and website data» se stai usando un iPhone.

Per l’iPhone e Android, c’è Firefox Focus che utilizza la navigazione privata in maniera predefinita, con il blocco della pubblicità integrato.

Ricordati che i dati sulla tua posizione vengono generati continuamente, anche quando non sei tu a usarli. Questi dati sulla posizione possono rivelare se sei stato prima dal medico e poi al consultorio, in banca e al centro commerciale, e per quanto tempo ci sei stato. Informazioni che i broker dei dati vogliono a ogni costo.

Perciò vai alla cronologia delle posizioni e su Android troverai la tua timeline; su iPhone invece, Settings, Privacy, Location Services: dopo aver visto dove sei stato la scorsa settimana, cancella tutto. Quello che devi fare dopo è negare la geolocalizzazione a tutte le app che non ne hanno bisogno per funzionare (a parte il meteo e le mappe, che però devi ricordarti di pulire ogni tanto).

Puoi anche disattivare i servizi di localizzazione generali del tuo telefono, la batteria durerà di più. Ma imparare a gestire la propria privacy è la vera sfida.