La Repubblica: Se Internet fa boom

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Internet. Due giorni fa il crash di un operatore ha disconnesso un quarto degli italiani per ore. Cosa succederà quando (nel 2020) ci saranno 50 miliardi di dispositivi online? Ecco dieci buone ragioni per domandarselo

di Arturo Di Corinto per La Repubblica del 15 giugno 2014

«INTERNET? POTREBBE COLLASSARE DA UN MOMENTO ALL’ALTRO ». Sono stati in molti a predire la catastrofe ma finora si sono sbagliati tutti. Tuttavia è vero che alcune porzioni di internet possano essere isolate per un periodo più o meno lungo, ed è successo spesso. Anche venerdì scorso quando un crash di Wind ha mandato off line un quarto degli italiani. Il punto è che, in generale, la Rete è stata progettata per connettere alcune centinaia di computer, non per gestire gli zettabyte di dati odierni che ci portano in casa i milioni di video di Youtube e le chiacchiere di oltre due miliardi di utenti dei social network, motivo per cui i suoi “tubi” possono intasarsi e il traffico dati bloccarsi. Per questo ci si chiede cosa avverrà con l’internet delle cose e le smart cities, quando centinaia di milioni di dispositivi digitali saranno connessi al nostro corpo e alle nostre case.
È stato stimato che nel 2020, per una popolazione di quasi 8 miliardi di persone, ci saranno oltre 50 miliardi di dispositivi connessi: 7 per ciascuno. E parliamo di stime cautelative. Domenico Laforenza, del Cnr di Pisa, tuttavia è tranquillo: «La Rete è pronta a collegarli tutti tramite IP (Internet protocol, ndr), visto che oggi il numero dei dispositivi collegabili è di circa 340 miliardi di miliardi di miliardi di miliardi (3,4 × 10 alla 38) di indirizzi. Il problema sarà piuttosto il traffico che genereranno. «Come sulle autostrade quando aumentano le auto si creano file e ingorghi, con i dati e i dispositivi digitali accadrà lo stesso. Allargare le autostrade, aggiungendo altre corsie usando fibra ottica e reti wireless di nuova generazione, diventa quindi un imperativo».
Dunque il rischio di un’interruzione massiva di internet rimane. E se il sovraccarico causato dai video, dalla telefonia digitale e dal numero di utenti può essere forse gestito ingegneristicamente, lo scenario più preoccupante riguarda il sabotaggio dei cavi strategici che sul fondo del mare collegano paesi e continenti. Una rottura può isolare un’intera nazione. Fantascienza? Nel 2008 è successo. A causa dell’ancora di una nave. Si temette fosse colpa di Al Qaeda.

Più concreto ancora il pericolo di una pearl harbour digitale denunciato nel 2012 da Leon Panetta, segretario di Stato Usa, circa gli effetti della guerriglia cibernetica che gli stati combattono segretamente. Una guerriglia che punta a sfruttare le vulnerabilità generali di internet per colpire servizi essenziali. Come le falle di sicurezza nei protocolli per le transazioni sicure, il “sequestro” di server e protocolli di Rete per redigerne il traffico verso siti canaglia o la mancata manutenzione di reti e sistemi operativi (Microsoft ha smesso di aggiornare Windows XP) per intrufolarsi negli uffici statali. Il più pericoloso sarebbe l’attacco ai Root Server e ai DNS (il sistema dei nomi di dominio) con l’obiettivo di isolare anche temporaneamente intere regioni e usare i server compromessi per furti d’identità (phishing), spamming, o risvegliare botnet (rete di computer zombie) e “sdraiare” i server nemici con attacchi DDoS ( denial of service, il malfunzionamento dovuto a un attacco informatico).
Come ci ricorda Alessandro Berni, responsabile Ict del Centro Ricerche Nato di La Spezia, «il rischio che milioni di elettrodomestici “intelligenti” possano essere utilizzati per lanciare questi attacchi su scala globale è tutt’altro che fantascientifica. L’anno scorso sono stati usati a questo scopo router Adsl, casalinghi, smart tv e, appunto, frigoriferi “intelligenti”».
Se la concentrazione di servizi cloud e l’elevata interconnessione di banche dati e centri di comando via internet protocol di dighe, oleodotti, riserve d’acqua e ferrovie, ha reso le nostre vite più vulnerabili, tuttavia il rischio maggiore per l’internet del futuro riguarda alla fin fine scelte di carattere prettamente politico. Secondo la Open Net Initiative almeno 70 stati attuano una censura politica, sociale o ideologica della Rete. Certo, nel caso dei paesi occidentali non è censura diretta ma il risultato del tentativo di controllare chi la usa. E la famosa dottrina dei Three strikes, la disconnessione forzata da internet per i downloader recidivi dopo il terzo avviso, è stata bloccata dalla Corte Costituzionale francese. Ma nel mondo si assiste al proliferare di leggi fotocopia che perseguono l’uso senza scopo di lucro di film, software e musica con la minaccia di chiudere i siti ospitanti anche se legali. Infine, c’è il gender gap. Negando alle donne di molti paesi l’opportunità di costruire la propria identità e cittadinanza digitali si dimezza il capitale sociale della Rete.
Insomma, se i governi non riusciranno a stabilire regole comuni per la gestione della Rete, si imporrà la legge del più forte. Con il rischio, da una parte, dell’affermazione di Reti non comunicanti come minacciano Cina e Iran quando Usa e Europa chiedono il rispetto dei diritti umani, dall’altra quello della cancellazione della neutralità della Rete se le corporation riusciranno a imporre un dazio per accedere alle autostrade digitali ad alta velocità, obbligando chi non paga a viaggiare su mulattiere digitali. «Per questo», ci dice Demi Getschko, presidente del Nic.br, l’organismo che soprassiede a tutti gli indirizzi internet brasiliani, «il nostro governo ha approvato una Carta dei diritti della Rete, il Màrco Civil, affinchè nel futuro a tutti gli internauti vengano garantite parità di accesso, privacy e sicurezza».

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