La Repubblica: Con gli open data e Telegram si possono studiare la divina commedia e la Costituzione

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Si può approfondire Dante o analizzare la Costituzione, sapere qual è la farmacia più vicina oppure a che punto si trova il cantiere di una grande opera pubblica. Perciò oggi si festeggia anche in Italia l’Open Data Day

di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 5 Marzo 2015

CON gli open data si possono fare tante cose, come imparare la divina commedia o la Costituzione? O trovare la farmacia più vicina o il cantiere di una grande opera pubblica. Basta l’ingegno dei singoli per riuscirci. Come quello di Francesco Piero Paolicelli,  un programmatore italiano, consulente del Comune di Lecce per l’innovazione tecnologica, che ha creato, con la collaborazione di altri esperti, @divinacommediabot, un automa che serve a studiare la Divina Commedia e che può essere interrogato per parola chiave, per esempio “Ugolino” per sapere in che Canto si trova.

Lo stesso Paolicelli, sfruttando le API (specifiche tecniche, ndr) di Telegram ha usato i dati aperti per visualizzare sul telefonino gli articoli della Costituzione Italiana, dimostrando che Telegram non è solo una piattaforma per chattare in sicurezza ma per gestire a distanza e da qualsiasi luogo database di dati aperti e pubblici. Ha anche creato Opendataleccebot per consultare una serie di informazioni sulla città di Lecce, dall’elenco dei luoghi dove è presente un defibrillatore, agli orari delle scuole fino ai parcheggi. E c’è riuscito grazie ai dati open inseriti nel portale dati.comune.lecce.it. Questi esempi dimostrano che con i dati pubblici, opportunamente organizzati, è possibile studiare a casa o a scuola e trovare la farmacia più vicina. Ma con gli open data è anche possibile sapere come spende le tasse il nostro comune e verificare a che punto sono i lavori di quell’opera pubblica che vuoi sapere quando sarà finita.

Ecco, oggi è la loro festa, è l’Open Data Day. In tutto il mondo si celebrano iniziative e incontri per capire sempre meglio come usare a fini educativi e commerciali le informazioni scientifiche, legali, cartografiche, genetiche, governative, che ogni giorno produciamo come individui e come organizzazioni. Gli open data, i dati aperti, i mattoncini di queste informazioni più complesse, organizzate con precisi criteri dentro i database che le raccolgono, sono uno dei motori della società dell’informazione. Gli open data, insomma, non sono una roba da nerd e ingegneri, ma rappresentano un approccio nuovo alla gestione degli zetabyte di dati che accompagnano ogni giorno le nostre vite, da quelli che descrivono i livelli di inquinamento dell’aria a quelli che misurano la spesa pubblica. La loro accessibilità e la possibilità di usarli e riusarli diventa perciò sempre di più un modo privilegiato per gestire in trasparenza il rapporto con la pubblica amministrazione, accedere ai servizi presenti su Internet, fare cultura e informazione. Sono, insomma, un pezzo importante della cittadinanza elettronica.

A Reggio Calabria, Napoli, Bolzano, Lecce, Modena e Taranto la festa coinvolge pubbliche amministrazioni, associazioni di categoria e grandi imprese, cittadini, accademici e ricercatori. L’evento di Roma si svolgerà proprio all’interno di un’università, la Link Campus University, con la collaborazione del’Istituto Italiano per gli Open Data e gli Stati Generali dell’Innovazione. Obiettivo? Sviluppare competenze diffuse sugli Open Data, imparare a riusare i dati per il governo della città e, perché no, costruirci sopra un proprio business copiando dalle esperienze di chi li usa da più tempo. Tutto questo perché, come dicono gli organizzatori sul sito di riferimento, “Siamo, in una fase diversa da quella che ha visto l’organizzazione delle prime edizioni. Se allora si trattava di lanciare un modo nuovo di intendere il rapporto tra informazione, digitale e diritti, oggi i dati aperti non sono più solo una buzz word: fanno parte del vocabolario comune, entrano nei testi dei bandi pubblici e nella mission delle imprese, danno qualità ai curriculum dei giovani”. L’hashtag ufficiale dell’evento è #oddit16 per Twitter, mentre su Facebook è attivo uno specifico gruppo.

Nonostante l’entusiasmo che circonda il tema gli organizzatori e gli esperti non si nascondono i problemi: “Le difficoltà legate all’adozione di standard unici, la definizione di protocolli di qualità da rispettare; la valutazione concreta sui vantaggi reali – anche economici – che dai dati aperti sono venuti finora a cittadini, associazioni, imprese e amministrazioni”. E se non ci sono ancora definizioni universalmente condivise di dati aperti come è già accaduto per l’open source (il software), l’open access (l’editoria scientifica), e gli open document, come dice Wikipedia, sono considerati un elemento centrale dell’Open Government e addirittura un modo per renderlo praticabile.

Tuttavia, sulla scorta della definizione voluta dalla Open Knowledge Foundation per cui gli open data sono “dati o contenuti che chiunque sia in grado di utilizzare, ri-utilizzare e ridistribuire, soggetti, al massimo, alla richiesta di attribuzione e condivisione allo stesso modo” il legislatore italiano è già intervenuto per definirlo con la legge 221/2012.
All’interno del Codice per l’amministrazione digitale (CAD, art. 68) i dati aperti per definizione devono essere disponibili con una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato; essere accessibili attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione su reti telematiche pubbliche e private, utilizzabili attraverso procedure automatiche e provvisti dei relativi metadati, ma soprattutto devono essere gratuiti. Insomma, i dati aperti sono concepiti come un bene comune, un Commons, disponibile per tutti, perché tutti contribuiamo a crearli. Un fatto che non è scontato e riconosciuto da tutti. Oggi si fa festa, ma si parlerà anche di questo.

“L’Open Data Day – spiega Ernesto Belisario, esperto del settore –  è un appuntamento importante perché ci costringe a fare un punto su quello che è stato fatto e su quello che non ha funzionato. Negli ultimi dodici mesi i dati aperti sono serviti per rendere più trasparenti le PA italiane e rendere disponibili nuovi servizi per i cittadini, magari offrendo nuove opportunità di sviluppo economico? Alcune classifiche internazionali (come l’Open Data Index) ci dicono che l’Italia – finalmente – ha iniziato a recuperare il ritardo nell’apertura dei propri dati. Sono sempre più le basi dati disponibili on line (dalla spesa pubblica ai cantieri delle opere pubbliche), ma sono ancora pochi i casi di riutilizzo civico e imprenditoriale delle informazioni messe a disposizione degli utenti. Probabilmente bisogna ripartire da qui: le amministrazioni dovrebbero coinvolgere gli utenti per capire come rendere gli open data utili per le persone ed il mercato”.

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