Non è il primo centro del genere, Huawei ne ha già creati cinque, l’ultimo a Bruxelles, e anche Kaspersky, azienda russa di antivirus, ha fatto lo stesso a Zurigo e Madrid, proprio in risposta alle critiche di scarsa trasparenza mossegli all’epoca. Perciò questa scelta assume una particolare rilevanza in un momento in cui le critiche piovute sull’affidabilità della società cinese – venute anche dal presidente del Copasir Raffaele Volpi – per i suoi stretti legami col governo di Pechino, hanno incrinato i rapporti tra i governi occidentali alleati degli Usa e il paese del Dragone, Italia compresa. Il motivo è facile da capire: reti e apparati 5G saranno di assoluta rilevanza nell’immediato futuro per gestire le ondate successive di un’innovazione tecnologica da cui siamo sempre più dipendenti.
Come detto durante la conferenza stampa di presentazione da Luigi de Vecchis, presidente di Huawei Italia, “Sappiamo che il 5g è un sistema che rivoluzionerà la società. Non è il 5G il solo responsabile, perché il motore della trasformazione è il risultato matematico di altre tecnologie: Intelligenza Artificiale, Realtà virtuale, telepresenza, robotica, Industria 4.0 che usano la rete”. Tutte tecnologie di cui va garantita la sicurezza. Proprio la settimana scorsa una ricerca di Accenture ha rivelato che le aziende che investono di più in innovazione stanno sottovalutando il livello di rischio che le tecnologie emergenti portano con sé. Solo il 55% dei Chief Security Officer intervistati ritiene utile adottare politiche di sicurezza per la protezione delle tecnologie di Artificial Intelligence e la percentuale scende al 36% degli intervistati per il 5G, al 32% per l’Extended Reality e al 29% per il Quantum Computing. Forse consapevole del tema, De Vecchis ha aggiunto: “Noi siamo leader nel 5G e per mantenere la nostra leadership investiamo il 15% del fatturato, anche con programmi di formazione delle nuove leve nelle università”.
Ma l’annuncio di Huawei potrebbe seguire anche altre logiche. Intanto la conferenza di presentazione del Centro che dovrebbe aprire a settembre prossimo è stata fatta lo stesso giorno in cui Mike Pompeo è arrivato a Roma. Non è un segreto che il segretario di Stato americano, braccio destro del presidente Donald Trump, vorrà chiedere a Conte di non proseguire gli accordi coi Cinesi sulla Via della Seta, e forse di ripensare la collaborazione con le aziende cinesi produttrici di tecnologie e servizi digitali. Un mese fa Pompeo ha infatti dato il via all’iniziativa Clean Network, “Reti Pulite”, per garantire che operatori mobili, app store, software, servizi cloud e cavi siano sottratti all’influenza di aziende cinesi come Huawei, Alibaba, WeChat e China Mobile che gestiscono attraverso i loro servizi quantità enormi di dati dei cittadini statunitensi. Proprio su questo, De Vecchis, rispondendo a una domanda di Repubblica, ha detto che “la violenta aggressione americana verso Huawei ha motivi geopolitici”. L’apertura di un centro dove “terze parti e istituzioni potranno vivisezionaci” è la sua risposta alle accuse. “Ci sono governi che usano armi non convenzionali contro di noi e che dovrebbero invece confrontarsi su altri tavoli”. “Il nostro investimento a Roma è completamente dedicato agli italiani per far sì che il nostro paese possa riguadagnare competitività. Con questa apertura ci aspettiamo di condividere le nostre strategie su privacy e cybersecurity mettendo a disposizione un ambiente fisico aperto a tutti”.
In effetti, come ha detto il presidente di Asstel Pietro Guindani, presente alla videoconferenza, quello della sicurezza è un tema ineludibile, “sia nella nostra attività d’impresa che nel rapporto coi clienti trattando informazioni riservate. Perciò il punto di riferimento è la Commissione Europea circa le linee guida della cybersecurity e della sicurezza delle reti, ma anche la legislazione italiana”. In effetti a ottobre è atteso il terzo dei cinque decreti attuativi della legge italiana sul Perimetro nazionale di sicurezza cibernetica, citato da Guindani, che tra le sue norme prevede anche di disciplinare gli acquisti di beni e servi Ict, le operazioni di e-procurement, come pure la corretta comunicazione degli incidenti informatici che possono impattare sulla sicurezza nazionale, e che permetterà di verificare le misure per la sicurezza end-to-end delle reti e degli apparati grazie al Centro Nazionale di Valutazione, il CVCN, “cui è fondamentale fornire strumenti e staffing adeguati” ha sottolineato Guindani.
Anche il Cyber Security Officer di Huawei, Giuseppe Pignari ha ribadito che per Huawei la cyber è una priorità aziendale in termini di sviluppo, di testing, consegna (delivery) dei prodotti fino al supporto e alla manutenzione. “Mettiano nella cybersecurity il 5% dell’investimento complessivo in ricerca e sviluppo rispetto ai ricavi complessivi dell’azienda – ha detto -, abbiamo un piano da 5 miliardi di dollari per migliorare l’ingegneria del software e per la formazione dei nostri team. Fibra ottica, intelligenza artificiale, blockchain, quantum computing amplieranno la ‘superficie di attacco’ quando si amplierà il numero di dispositivi connessi. Noi siamo pronti”. Insomma, per Huawei la sicurezza è uno sforzo collettivo e collaborativo. Non è un caso che il motto dell’iniziativa è “Many hands, Many eyes”. Ovvero: tante mani, tanti occhi.
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