L’ultimo Wojtyla? ”Una spregiudicata esibizione di potere mondano”

Intervista. Un papato pieno di pagine luminose, che però ha demonizzato le diversità. A colloquio con Don Enzo Mazzi, sacerdote della Comunità dell’Isolotto di Firenze
[Arturo Di Corinto]
www.AprileOnLine.Info n.237 del 12/04/2005.

Terminata l’enfasi mediatica intorno alla morte di Karol Wojtyla, gli stessi organi d’informazione cominciano a riflettere in maniera più pacata e timidamente critica sul fenomeno rappresentato dal pontificato di Giovanni Paolo II Magno. E’ stato detto ad esempio che la partecipazione massiccia ai funerali del Papa ha sfiorato l’isteria collettiva trasformandosi involontariamente in un attegiamento irriguardoso che chiede agli osservatori più attenti di interrogarsi su quale bisogno urgente e irrisolto quella partecipazione vada a colmare. Eugenio Scalfari ha parlato di uno spettacolo liturgico irripetibile, una dimostrazione di forza spirituale e temporale senza eguali che interroga proprio il rapporto fra la Chiesa e i suoi fedeli ovvero fra quel Papa e la sua Chiesa. Ne abbiamo parlato con Don Enzo Mazzi, sacerdote della comunità dell’Isolotto di Firenze.

Don Enzo, la grande partecipazione popolare ai funerali del Papa è stata un segno di profonda religiosità e affetto o qualcos’altro?
Non intendo giudicare i sentimenti delle singole persone che hanno accompagnato il Papa nella lunga agonia e nella morte, con veglie, faticosi viaggi a Roma, eroiche code per salutare la salma e per i funerali.
Non posso però ignorare il fatto che c’è molta sofferenza nel mondo cristiano e nella stessa chiesa cattolica per il significato complessivo di spregiudicata esibizione di potere mondano che ha assunto specialmente questa fase finale del pontificato wojtyliano. Può sembrare paradossale, ma la stessa esibizione on line, senza risparmio di sfoggio mediatico, della sofferenza e della morte di Wojtyla è profezia moderna di un cristianesimo trionfante, religione della croce ma in quanto essa è un simbolo vincente: “in hoc signo vinces”. In quel tipo di profezia, priva del senso del limite, lontana dalla profezia evangelica povera e senza potere, molta parte dei cattolici non si riconosce più.

Possiamo dire che è stata messa in scena la gratitudine per un uomo che secondo molti ha cambiato la Storia? Oppure?
Nel 1989, ai funerali di Khomeini parteciparono cinque o sei milioni di persone. Si può dire, senza rischiare un certo razzismo, che quelli erano fanatici, a differenza della folla romana di questi giorni? Forse l’attenzione non va posta tanto alla massificazione che si ripete, quanto alla nascita nonostante tutto di nuove forme di autonomia, creatività e socialità comunitaria oltre i confini che sono disattese dai media ma costituiscono il bandolo del futuro. E’ la chiesa viva oltre la Chiesa papale. E’ la società viva oltre la globalizzazione omologante.

E’ vero che questo Papa ha sconfitto il comunismo?
E’ innegabile il ruolo positivo che ha avuto Wojtyla nella rovinosa caduta del regime comunista sovietico. Ma è un pagina di storia ancora quasi tutta da decifrare.

Molti lo hanno criticato per il rapporto che ha intrattenuto col mondo femminile.
Il femminismo è parte di quel mondo della “diversità” che tutto è stato discriminato. Domandarsi come è stata trattata la “diversità” all’interno della Chiesa cattolica durante il papato wojtyliano non è una fissazione di fondamentalisti del dissenso. Credo invece che il rapporto con la diversità sia il metro più giusto ed efficace per valutare la qualità e lo stato di salute di tutte le istituzioni, di ogni tipo, tempo e luogo: dalla famiglia alla scuola allo stato e, appunto, alla chiesa.
Una società che valorizza la diversità come speranza progettuale è una società sana e creativa, è come un seno materno, capace di espandersi per rispondere agli impulsi vitali che premono per venire alla luce. In fondo la vita che nasce è sempre in qualche modo una “diversità” irripetibile che chiede di essere accolta. Al contrario, una società omologante e repressiva mentre riempie di “diversi” le carceri al tempo stesso impone a tutti la dimensione carceraria dell’esistenza: è malata, insicura, blindata, infelice, incapace di favorire socialità e relazioni. Questo vale anche per la Chiesa cattolica.
Il femminismo, l’impegno delle donne per vincere l’aborto valorizzando l’autonomia femminile come unica forza capace di offrire sbocchi praticabili alle sfide e ai drammi della vita riproduttiva, la valorizzazione della diversità in campo sessuale, ma anche le comunità di base, la teologia della liberazione, le esperienze di partecipazione dei laici alla vita ecclesiale su un piano di dignità e parità, la ricerca teologica che si ispira ai movimenti di liberazione: tutto questo è stato demonizzato. E non c’è esagerazione in ciò che dico. Non si contano più ormai i pronunciamenti di condanna e le censure contro esperienze di base, contro l’autonomia dei teologi e contro la “diversità” perfino di alcuni vescovi, fino all’accostamento delle leggi che regolamentano l’aborto ai misfatti più orrendi della storia e la definizione delle donne che abortiscono quali assassine.

Questioni perlopiù passate sotto silenzio, soprattutto in questi giorni di gloria…
Il pontificato di Wojtyla non è solo questo. Ci sono pagine luminose. Ne sono piene le cronache di questi giorni. Più in sordina si ricorda la sorte repressiva riservata al dissenso. Forse conviene invece parlarne con maggiore libertà, illuminare anche queste pagine oscure, senza falsi pudori, per aprire un varco a un futuro maggiormente disponibile ad accogliere la “diversità” interna, condizione essenziale per la diffusione di una società aperta e creativa nel tempo della globalizzazione.

Il ruolo dei Media è stato importante nell’imporre il magistero di questo Papa?
“Aprite le porte a Cristo: non abbiate paura” disse appena eletto papa. Una frase bellissima, ma anche carica di ambiguità. In realtà, al posto di Cristo si direbbe che è entrata dappertutto la grande star mediatica papale. Qui è la responsabilità più grave del pontificato wojtyliano. Per conquistare i media a Cristo, il papa stesso si è trasformato in potere mediatico, un potere immenso capace di dominare la comunicazione, di raggiungere picchi di ascolto e di trascinare le folle, usando senza riserve la potenza dei mezzi mondani in alternativa alla forza intrinseca dell’annuncio profetico e della fede.
In secondo luogo, la persona del papa, divenuta fenomeno mediatico, ha quasi annullato l’autonomia di ogni altra realtà ecclesiale dando al mondo l’immagine di una identificazione della Chiesa cattolica col Sommo Pontefice. La Chiesa tutta è vissuta della sua luce, della sua popolarità e della sua forza. L’ultimo prezzo pagato è infine il sacrificio dell’ecumenismo e dell’incontro fra le religioni mondiali: sacrificio sostanziale, obbiettivo, oltre i bei gesti e le parole accattivanti.