Governo elettronco o bufale elettroniche?

Governo elettronco o bufale elettroniche?
Arturo di Corinto
31/10/03

Basta con le file. Basta con la carta bollata. Basta con la gimkana tra gli uffici. Basta con gli sprechi. Basta col potere feudale di una burocrazia lenta e sonnacchiosa. E’ l’ora dell’e-Government, la rivoluzione informatica al servizio del cittadino. L’e-government e’ l’erogazione di servizi amministrativi attraverso la rete e coi suoi strumenti oggi e’ possibile richiedere un certificato di nascita o di residenza, una licenza, la verifica della posizione Inps, comodamente seduti davanti al proprio computer, al terminale di un ufficio municipale o da un Internet cafe’. Non solo. La firma digitale, il protocollo informatico, l’archiviazione ottica dei documenti, sono altrettanti strumenti pensati per la semplificazione amministrativa e la trasparenza delle procedure, secondo una logica di efficienza e risparmio della Pubblica amministrazione (PA). Ma strumenti di e-Government sono anche quelli specificamente orientati al cittadino come gli Urp, Uffici relazioni con il pubblico a cui chiedere via telefono o via internet il come e il dove degli adempimenti burocratici, i Cup, i centri unici di prenotazione per le visite ospedaliere, lo Sportello Unico per le imprese, i portali informativi su leggi, concorsi e gare. Un insieme di servizi che negli ultimi dieci anni ha cambiato il volto della burocrazia italiana.
E’ la storia di questa rivoluzione che Luigi Tivelli e Sergio Masini, l’uno consigliere, l’altro dirigente per la presidenza del consiglio, ci raccontano nel libro Un nuovo modo di governare. L’e-Government e il cambiamento della pubblica amministrazione, (Fazi editore, 18 Euro), una ricognizione sintetica dei passaggi che hanno condotto all’ammodernamento della P.A con le nuove tecnologie, una storia ricostruita in maniera talvolta approssimativa e a tratti ingerenerosa nei confronti di chi ha avuto il merito di avviarla, soprattutto per il poco risalto dato al ruolo innovatore che i cittadini e le amministrazioni locali hanno avuto nello stimolare il cambiamento.
Una rivoluzione copernicana che gli autori giustamente datano al 1990 con la legge 241, la “legge sulla trasparenza amministrativa” che imponendo tempi certi ai procedimenti amministrativi, finalmente dava al cittadino la certezza di non essere piu’ un suddito. Una legge che ha sottratto potere a chi da “ritardi” e “accellerazioni” amministrative cercava di trarre un vantaggio personale, nel migliore stile delle “buste gialle” (i tangentisti), per restituirlo invece ai cittadini, e che e’ proseguita con l’informatizzazione lenta ma inesorabile della pubblica amministrazione, insieme alle leggi necessarie a garantire efficienza ed efficacia all’azione amministrativa e al suo decentramento. Intanto, in assenza di una reale re-ingegnerizzazione dei processi su cui l’e-Government si basa, i comuni, le province e le regioni, complice la rete Internet, senza attendere i tempi lunghi di progetti e sperimentazioni calati dall’alto, hanno cominciato ad affacciarsi timidamente sul web con vetrine digitali artigianali, poco piu’ che semplici brochure, per evolversi in reti civiche, interfacce elettroniche fra il cittadino e gli amministratori. Da allora il mondo della PA non e’ stato piu’ lo stesso. Sono nati forum e convegni dedicati all’innovazione della pubblica amministrazione e dopo la Millenium Declaration, la Carta di Okinawa e un paio di vertici dei G8, oggi l’italia sviluppa addirittura programmi di cooperazione con paesi come Giordania, Mozambico e Albania per esportare il “suo” modello di Governo elettronico.
Pero’ mentre la tecnologia avanza, l’innovazione avvantaggia solo qualcuno e non arriva a tutti. I problemi irrisolti sono ancora la lenta diffusione dei computer nelle famiglie, la scarsa alfabetizzazione e i costi delle connessioni. In una parola, il digital divide, che non e’ solo economico, ma generazionale, di genere e cognitivo.
Il divario digitale e’ l’altra faccia della rivoluzione elettronica e riguarda la frattura che divide chi e’ in grado di accedere e utilizzare le nuove tecnologie e chi no, per ottenere un lavoro o una certificazione, per informarsi, beneficiare del buongoverno elettronico.
Il digital divide e’ un concetto nato per indicare l’ineguale ritmo di penetrazione delle tecnologie fra le aree agricole e quelle urbane degli Stati Uniti ma si usa perlopiu’ per indicare il divario fra il nord e il sud del mondo, dimenticando che riguarda anche casa nostra.
A questi argomenti sono stati dedicati due libri a poca distanza di tempo. Il primo e’ Digital Divide. La nuova frontiera dello sviluppo globale, a cura di Raffaele Tarallo e con la prefazione di Franco Bassanini (ed. FrancoAngeli, 19 euro). Si tratta di un volume collettivo che passa in rassegna i problemi dell’accesso alle nuove tecnologie e li mette in relazione con l’analfabetismo digitale, troppo somigliante al “non sapere leggere, ne’ scrivere” del secolo scorso. Il libro ha il merito di riportare in versione quasi integrale i documenti che hanno spianato la strada alla costruzione della societa’ dell’informazione, lasciandoci cosi’ individuare i motivi della sua difficile realizzazione. Il secondo e’ un libro di Paolo Zocchi: Internet: la democrazia possibile (Guerini e Associati, E. 18,50) che si misura con le potenzialita’ della comunicazione telematica per aumentare benessere, consapevolezza e autonomia di uomini e donne, anche attraverso il governo elettronico, che l’autore considera un potenziale volano alla crescita dell’economia di rete.
In questi due libri, oltre a numerosi dati quantitativi sullo stato del digital divide interno ed esterno, ai dati sulla effettiva penetrazione dei dispositivi del governo elettronico, si trovano anche delle proposte, semplici e arcinote, che giova ricordare. Per ammettere tutti i cittadini ai benefici della rivoluzione informatica occorre creare infrastrutture adeguate, moltiplicare i punti di accesso pubblico alla rete, favorire la diffusione della banda larga e del wi-fi, dotare le scuole di computer, promuovere la formazione, investire nella ricerca, finanziare chi lavora a colmare il digital divide e diffondere il software libero per rendere le comunita’ indipendenti dai monopoli del software.
Questioni complesse che non possono piu’ essere affidate alla sensibilita’ dei volontari o di qualche buon amministratore e di cui si parlera’ in due summit, il World Summit on Information Society, Wsis, (Givevra 12-15 dicembre) e il World Municipal Summit on Information Society, Wmsis, (4-5 dicembre a Lione), eventi che per la posta in gioco meriterebbero piu’ attenzione di quella che gli viene data, sia dai media che dalla politica.