Piattaforme, commercianti, esercito, polizia, tutti vogliono più dati possibili dalla nostra vita online per monetizzarli, tracciarci, addestrare intelligenze artificiali. Il loro “modello di business” è basato sulla violazione della privacy. Per questo, secondo Access now, come la privacy va rispettata in quanto diritto umano dovrebbe esserlo anche la minimizzazione dei dati per ridurre i danni che questa raccolta indiscriminata causa alle persone. Quali? Dal furto di identità ai danni fisici, emotivi, relazionali, reputazionali, fino alla sfiducia nella possibilità di esprimersi liberamente.
Un rapporto di Access Now, dimostra infatti, che la raccolta e l’elaborazione dei dati possono ridurre le opportunità di minoranze, donne, migranti, e aumentare le discriminazioni incidendo su opportunità occupazionali, affitti, prestiti e mutui.
Negli Usa se sei ispanico paghi di più sia il mutuo che la sua rinegoziazione. Parecchie società statunitensi come Staples, Home Depot, Rosetta Stone, hanno utilizzato i dati sulla posizione fisica degli utenti per mostrare prezzi più alti e meno offerte per le persone nei quartieri a basso reddito.
Durante le elezioni del 2016, l’Internet Research Agency russa ha utilizzato i filtri di Facebook e Twitter per presentare alle persone di colore messaggi che ne scoraggiavano il voto.
Uber ha utilizzano i filtri degli annunci di Facebook per escludere certi utenti dalla visualizzazione di annunci di lavoro, solo agli uomini, escludendo i lavoratori anziani dalla loro visualizzazione.
I dati non dovrebbero essere raccolti e usati per discriminare le persone. Perciò minizzare i dati vuol dire ridurre al minimo la quantità di dati trattati per ottenere il servizio.
Come fa Signal, che ogni volta che è stata richiesta di fornire i dati dei suoi utenti ha sempre potuto dire di non averli. “Se più aziende adottassero questo tipo di robusta minimizzazione dei dati, meno persone sarebbero soggette a violazioni della privacy, alla sorveglianza governativa e a abusi di altra natura”. Access now ritiene che le organizzazioni hanno tutta la responsabilità di proteggere i dati che elaborano e “minimizzare la quantità di dati che raccolgono è uno dei modi migliori e più rispettosi dei diritti umani per prevenire la privacy degli utenti da violazioni e danni”.
In realtà basterebbe riflettere sui danni fatti dallo scraping dei dati su Facebook e LinkedIn per capire come il rischio sia troppo grande per giustificare la raccolta di più dati di quelli necessari per fornire un prodotto o un servizio.
Perché non lo fanno? Perché la pubblicità comportamentale è il modello di business online dominante e si basa sulla visualizzazione di pubblicità mirata agli individui confezionata in base ai loro comportamenti passati, al monitoraggio delle attività online, all’utilizzo delle app o altre forme di profilazione per valutare le preferenze, il comportamento o la posizione delle persone.
Ma le grandi piattaforme si oppongono alla minimizzazione. Una delle argomentazioni è che i loro algoritmi di machine learning sono migliori se addestrati su dati validi, piuttosto che su quanti più dati possibile. Ma è un presupposto fuorviante: non è vero che che avere più dati sia meglio e che tutti i dati siano utili.
Per questo Access Now ritiene che la creazione di sistemi di machine learning dovrebbe tenere conto dei principi di minimizzazione dei dati e chiede ai suoi architetti di essere più attenti e selettivi con i dati che raccolgono, per minimizzare i rischi per la privacy e costruire sistemi più efficaci, etici e funzionali.